L’angolo di Full: “L’aquilone birmano”
Mi assicurava che l’aquilone birmano era l’idea più proficua in proposito: «La faccia inferiore, visibile da terra, è riservata agli spazi pubblicitari che finanziano il progetto, quella superiore è totalmente a sua disposizione, signore. Ma, a parte i contenuti, consideri l’eleganza dell’oggetto e come si presti per qualsiasi regalo, omaggio, souvenir», m’aveva detto al telefono.
«L’aquilone è un simbolo di libertà, un oggetto pieno di poesia». Questa volta m’aveva citofonato e poi atteso che scendessi per recarmi in ufficio. Era un signore vestito correttamente di grigio, occhialuto, stempiato e vagamente astratto: «Il volo planato dell’aquilone diverte grandi e piccoli, ma è molto decorativo anche come elemento di arredo».
Lo ritrovai giorni dopo all’ingresso dell’ufficio, nevicava ed ero in ritardo. Notai un piccolo ghiacciolo perlaceo pendere dal suo naso. Ogni volta tornava a presentarsi come agente di un noto gruppo editoriale:
«L’aquilone birmano è la soluzione del futuro, signore», insisteva con una voce che andava via via deteriorandosi. Al che glielo confidai.
Avevo maturato esperienze con Editori che, pur di non pubblicarmi un comunissimo libro a proprio rischio, avevano stampato i miei microracconti sul dorso di conchiglie polinesiane, sulle ali di farfalle giganti essiccate, su foglie di eucalipto del Madagascar, sopra foulard di seta, tovaglioli di carta, rotoloni per cucina e rotoli igienici, persino sugli schermi dei navigatori, dei microonde e dei cellulari usa e getta. Mai una pubblicazione che m’avesse reso una gratifica o un soldo bucato.
A che scopo tentare adesso con gli aquiloni birmani?
Fulvio Musso