L’angolo di Full: “La rosa bianca”

La rosa bianca

Quando si diluisce il sale che si ha, in un fiume di parole, si può apparire  insipidi. Ben altra attenzione suscita chi lo concentra in poche battute e l’amico Armando aveva il carisma dell’uomo di poche parole.
Aveva quel che si dice un fisico tosto, con muscoli poco evidenti, ma duri e lisci come sassi di fiume e il volto, artigliato dalla fatica, era una mappa di rughe dove piste e sentieri scavalcavano profondi canali per confluire a due vivaci occhi scuri inclini al sorriso.
Stava sempre trafficando nel suo cantiere nautico sul lago Maggiore e, per un motivo o per l’altro, avevamo tutti bisogno di lui.
La domanda che circolava più spesso fra i pontili era: «Hai visto l’Armando?»
Invariabile la risposta: «E’ qui in giro».

Da qualche tempo, Armando s’è staccato adagio da questa sponda e ad ognuno di noi ha lasciato una piccola o grande eredità: uno scafo recuperato, un prezioso oggetto ripescato dal fondo, un attrezzo ceduto, un insegnamento. A me ha lasciato, soprattutto, la serenità dei momenti legati al suo ricordo. Come quando mi raccontava il segreto della rosa bianca…

…Tutte le parole che non servivano ad Armando le raccoglieva il Merenda che un giorno arrivò trafelato dal pontile lamentando la perdita della preziosa elica di bronzo della sua pilotina. Raccontava che si era sfilata dall’asse mentre prendeva il largo e si dilungava sull’improbabilità di ritrovarla perché la melma del fondo l’aveva subito inghiottita, paventava la difficoltà di reperirne un’altra perché di eliche così non se ne fanno più….
«Dov’é successo?» tagliò corto Armando.
Al prolisso Merenda occorse qualche altro minuto per esporre l’idea, piuttosto vaga, sul luogo dell’affondamento.
«Non tentare niente», raccomandò Armando, «domani ci guardo».

La mattina dopo, di buon’ora, come una ragazza che fa toeletta, la cittadina di Angera si specchiava nelle acque limpide e ferme come un vetro. Sulla riva opposta, la civettuola Arona faceva altrettanto con qualche attenzione in più.
Mezzo miglio più a sud, solo sul suo barchino, Armando si muoveva adagio cercando la “rosa bianca”. Intorno sorrideva la primavera e persino il vecchio legno del remo, battendo piano sull’acqua, rifioriva in cerchi concentrici.
Ci volle una buona mezz’ora per individuare il fiore chiaro sbocciato quattro metri più sotto.
Armando calò sul posto una piccola boa e tornò a riva.
Più tardi rispondeva agli ansiosi interrogativi del Merenda indicandogli sorridente la boa e lasciandolo, per una volta, senza parole.

Armando mi spiegava che quando un oggetto piccolo e pesante cade sul fondo, scompare subito, ingoiato dalla melma, ma sul posto sboccia una “rosa bianca” che si mostra solo quando l’acqua è ferma e limpida.

Infatti, la polvere che l’oggetto solleva, ricade piano sul fondale rivoltandosi e formando un’ampia macchia più chiara, circolare e convessa: la “rosa bianca”. L’oggetto caduto si cela al centro della infiorescenza che va trovata in fretta perché sfiorisce presto. Come tutte le rose.

Eravamo seduti sotto il susino. Il sole stava tramontando dietro Arona ed il suo campanile aguzzo sembrava un pennarello che colorava le nuvole di rosso.

Fulvio Musso

 

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