L’angolo di Full: “La scelta giusta”
L’acqua frusciava sotto lo scafo e l’onda tranquilla si allontanava dietro la barca allargandosi a ventaglio. Ero pervaso da una sensazione di pace infinita in tutto il corpo e nell’anima.
Il vento nei capelli, il sole sulla pelle, gli occhi attenti a scoprire ogni dettaglio di quell’immensità turchese che colorava persino le facce dei pochi passeggeri che mi stavano accanto. Gente semplice, del luogo, che mi sorrideva affabile.
I Caraibi, le Piccole Antille, eccole finalmente!
Anche qui m’ero lasciato precedere da tutti, come nella vita. Persino i miei portinai c’erano già stati ai Caraibi. Ma per me sarebbe stato ben diverso; non si trattava della solita vacanzina organizzata. L’amico Alex mi stava aspettando nel porticciolo di San Felipe con la sua proposta entusiasmante.
Nello sciabordio dell’acqua ritrovavo la malia delle sue parole:
“San Felipe è poco più grande della tua Intra, ma ti toglierà la memoria del resto del mondo.”
“A San Felipe l’acqua è tanto azzurra che riesce a colorare il ventre bianco dei gabbiani in volo sopra di te.”
Le parole di Alex suonavano magiche ed incisive quanto lui. Era stata questa magia a stregarmi convincendomi al lungo viaggio: “Man mano che si naviga verso sud, ogni isola appare sempre più genuina nella sua nuda identità. La loro promessa finale è San Felipe.”
Ogni sua frase mi colpiva con tutto il peso della verità, che è tanto più ineccepibile quanto più le parole ascoltate sono quelle desiderate: “Quaggiù è come tornare alle nostre origini e, ricordalo, il vero viaggio si fa verso le origini!”
Il mio amico era anche un maestro nel coniugare i sogni alla praticità: “Vendendo il negozio, ricaverai abbastanza da vivere qui tutta la vita.”
Alex somigliava ad un pilota del battello che, ogni giorno, mi traghettava dalla riva piemontese del lago Maggiore, al mio negozietto sulla riva lombarda: da Intra a Laveno e viceversa.
A volte assistevo alle manovre dietro il posto di pilotaggio e, insieme, si vagheggiava di atolli tropicali, di indigene disinibite e di spiagge assolate. Era anche un modo per fugare le brume che, spesso, indugiavano sul lago, o per scacciare il freddo pungente di quando, più forte, soffiava il vento da nord.
Rappresentavo, credo, il tipico scapolone di provincia, svogliato e gaudente: né casa, né chiesa… né moglie. E una delle ragioni del mio prolungato celibato, poteva essere Tania, la mia commessa part-time e part-sex.
Alex m’aveva rassicurato anche su questi aspetti: “Il carnato bianco è di per sé motivo di grande attrazione nelle isole dove, peraltro, c’è molta permissività, e tu avrai solo l’imbarazzo della scelta.”
Uscii dal breve flash in bianco e nero, qual’è il colore della memoria, per rituffarmi nello sfolgorio di quei colori ed il fulgido tramonto dei tropici mi colse quasi di sorpresa lasciandomi senza fiato.
“Potrai restare qui tutta la vita”, m’aveva assicurato Alex, “la nostra associazione si occupa di tutto ed è molto più facile di quanto credi. Dovrai versare delle semplici quote annuali”
“C’è una sola condizione: da questo sogno non può esserci risveglio. L’autorità locale rilascia solo concessioni di soggiorno permanenti e vincolanti. Conseguentemente, i contratti sono sempre e soltanto a vita. Una volta firmato l’accordo, non potrai più tornare indietro… salvo perdere l’intero capitale.”
Valeva di più la vita –ogni giorno in negozio– vissuta sino a quel momento, o quella che mi attendeva a San Felipe?
«San Felipe!» urlò un’indigena.
Additava un punto all’orizzonte e sorrideva con una grazia che mi ricordava vagamente Tania.
Negli ultimi bagliori del tramonto, si scorgeva la sagoma azzurrina di una terra ed io mi portai a prua come quando, dal battello sul lago, vedevo sorgere la sagoma dell’isola Madre.
“San Felipe è un sogno dal quale non può esserci risveglio. Devi decidere ora”.
Per un momento considerai quel mio strano modo di viaggiare, sempre voltato indietro, a tracciare paralleli, a trovare somiglianze: con Tania, col pilota di Intra, con l’isola Madre. Con il passato.
“A San Felipe è come tornare alle origini, ed il vero viaggio è quello verso le origini” aveva detto Alex.
Solo allora considerai che quella frase poteva avere una opposta interpretazione: il vero viaggio è quello verso le origini… cioè verso casa!
Ma, come si può viaggiare verso casa se mai si è partiti!
Dovevo scegliere: rinunciare o vivere per sempre il mio sogno.
Dovevo decidere.
Intanto, i contorni di San Felipe si facevano sempre più nitidi e… sempre più simili all’isola Madre.
Mi resi conto in quel momento di avere gli occhi aperti. Il lento rollio del battello e il sommesso ronzio dei motori erano quelli di sempre.
Mi guardai intorno. I pochi passeggeri avevano i volti ben noti dei soliti compagni di viaggio. Laveno era ormai lontana dietro la poppa mentre la sagoma dell’isola Madre era sorta sulla linea dell’acqua proprio davanti a me, e cresceva, ingigantiva.
Mentre sbarcavo nella mia Intra, mi chiedevo se avessi fatto la scelta giusta. Intanto, come un alberello dopo la tempesta, mi leccavo le radici.
Fulvio Musso