L’angolo di Full: “Le cose di cartone”
Alla stazione Centrale di Milano, dopo anni.
Su tutto, una folla vociante e variegata. Nessuna valigia: tutti col trolley ormai, come negli aeroporti. Mi chiedo se ci sono anche i trolley di cartone legati con lo spago. M’hanno detto che sono tantissimi, ma per riconoscerli bisogna capovolgerli: sotto c’è scritto made in China e sembrano di vera finta-pelle. Ci sono anche i trolley di cartone che si distinguono al volo, tipo quelli in “vero coccodrillo”.
Giovani, meno giovani, quasi vecchi: sono tutti col cellulare in mano, di quelli ultima generazione che basta sfogliare il monitor col dito. Tutti sfogliano. I meno competenti scorrono l’album delle foto, i più fighi seguono i tornei di tennis alle Isole Marchesi o navigano in remoti siti. Il mio cellulare invece è di cartone, cioè superatissimo, di quelli con la suoneria a… voce: basta essere intonati.
Di antico c’è rimasta anche la polizia ferroviaria che ritrovo con le stesse divise e le stesse facce di una volta, dalle espressioni di cartone. Questo ce l’ha da bravo diavolo che invita all’informazione. Infatti, anche se non mi frega niente, gli chiedo se il treno per Mantova ferma a Pizzighettone.
Una volta, per motivi di sicurezza, l’accesso ai treni era limitato ai viaggiatori muniti di biglietto. Ora tutti vanno e vengono nel caos più completo. Sono le nuove disposizioni antiterrorismo di cartone: se è troppo facile, non c’è gusto a mettere bombe.
Siamo tutti col naso puntato sui tabelloni elettronici perché il binario –di partenza o di arrivo– lo mettono all’ultimo minuto e allora bisogna trottare.
Io non devo partire: sto aspettando una ragazza da Firenze. Ci incontriamo perché stavamo diventando tristi. Insieme, invece, ci scappa sempre da ridere. Ormai non riuscivo nemmeno a scrivere i miei racconti. Dicono che i poeti compongono le cose migliori quando sono depressi. Al contrario, io ho bisogno di essere sereno: sarà che non scrivo poesie, ma raccontini di cartone.
Piantato in testa al binario, guardo tutte le facce –di carne e di cartone– sino all’ultimo passeggero, ma lei non c’è. Allora mi viene il dubbio di aver letto il binario sulla riga sbagliata del tabellone, infatti mi dicono che questo treno viene da Trieste. La sento al cellulare e la ritrovo, mezz’ora dopo, in testa al binario ventidue. Mi racconta che ha dovuto prendere il treno successivo perché aveva letto l’orario sulla riga sbagliata del tabellone… (uguali!). «L’ho preso coi saldi» mi dice mostrandomi il suo nuovissimo trolley di “vera lucertola”. E già ci scappa da ridere di quella nostra tristezza di cartone.
Come coppia, andiamo bene: ci basta evitare i tabelloni. Intanto ho ripreso i miei raccontini di cartone. Tipo questo.
Fulvio Musso
Ci sono persone che col cartone fanno miracoli, componendo oggetti persino utili a mostrare che chi li usa non disprezza la povertà, ma la converte in ricchezza, un po’ come fanno i politici. Io non rimpiango il passato, mi so adattare, anche se riconosco che l’adattamento è nemico dell’evoluzione. Non ho mai inviato un solo sms, e il telefonino vintage ce l’ho perché mia moglie fa la scena di non volermi perdere, sapendo benissimo che sui monti dove vado a cercar funghi… non c’è campo.
Quand’ero piccolo la parete che divideva in due le solitudini che affollavano il monolocale, dove la mia famiglia alloggiava, era di masonite, materia nobile a quel tempo, una specie di cartone coi super poteri, ma inadatta a essere usata per le valigie, a causa del suo peso eccessivo, che avrebbe fatto passare i poveri per dei ricchi sfondati.
Ciao Full 😉