L’angolo di Full: “Quattro pariglie di cavalli bianchi”

Quattro pariglie di cavalli bianchi

 

Com’è scritto da qualche parte, sono nato in una ridente località di mezza montagna con regolare concorso. Ma, ormai che viene messa in discussione la legittimità o la costituzionalità di qualsiasi cosa, anche il mio concorso per la nascita ha subito la stessa sorte. Le indagini della Guardia di Finanza hanno rilevato un abuso nell’ora natale che sarebbe mezzogiorno in punto mentre la levatrice avrebbe denunciato le sei del mattino per poter intascare lo straordinario.
Così, come vengono tolte le pensioni percepite in modo truffaldino, anche il mio concorso è stato annullato per cui mi sono ritrovato morto.
In pratica, faccio parte delle procedure avviate dal nuovo Governo per sanare il bilancio dei vari istituti e, più in generale, per ridurre il debito pubblico, per contenere lo spread coi Bund tedeschi e, addirittura, per salvare l’euro. Dunque, dovrei essere un eroe, ma per la cronaca sono soltanto un truffatore.

A parte il comprensibile disappunto iniziale, riconosco d’aver imparato più cose nel corso del mio funerale che nel resto della mia vita.
Ricordo d’aver lasciato solo due richieste ai miei eredi: un carro funebre trainato da cavalli bianchi e la conservazione della villetta d’epoca che avrei lasciato loro e nella quale avevo profuso tanto lavoro e passione.
Alla prima richiesta sopperirono posando, sulla pietra tombale, una piccola fioriera a forma di cocchio trainato da una pariglia di cavalli in simil-bronzo. La seconda richiesta era più ardua da soddisfare perché escludeva la possibilità di cedere la villetta al migliore offerente, cioè allo speculatore edile che, in seguito, la rase al suolo per edificare una palazzina a tre piani.

Non me la presi più di tanto per queste inadempienze, in primo luogo perché ero morto, e poi perché avevo avuto modo di capire finalmente qualcosa di me stesso durante la partecipazione al mio funerale.
Come in ogni corteo funebre, si parlava di tutto tranne che del defunto. Ricordo, fra l’altro, un mio cognato che riuscì a vendere la propria Lancia Aurelia d’epoca al suo vicino di fila e la dettagliata ricetta di una mia cugina sulla preparazione degli agoni di lago in carpione che interessò buona parte del corteo. Tuttavia, fra una ciancia e l’altra, scappava persino qualche frase sul caro estinto, cioè su di me.
Mi ero sempre considerato una persona amata, di gradevole compagnia e certe frasi captate qua e là mi lasciavano perplesso: «Ettore non era cattivo… ma che invadente!».
«Già, e pure saccente… sapeva tutto lui».
«Più che altro, un rompiballe: non gli andava mai bene nulla, povero caro».
«Un precisino, un fissato, direi: in auto non si poteva accendere il climat perché gli faceva male, i ristoranti lo avvelenavano, il mare gli arrostiva la pelle, la montagna gli alzava la pressione… ecchecazzo! Con tutto il rispetto per lui che se n’è andato, caro, vecchio Ettore».
Arrivai a destinazione col morale a pezzi.

L’ultimo accompagnatore aveva ormai lasciato il cimitero e le ombre della sera s’allungavano unendo in un languido abbraccio tutte le lapidi, quando l’orizzonte si schiuse e comparve una grande carrozza dorata trainata da quattro pariglie di cavalli bianchi, esattamente come l’avevo immaginata per le mie esequie. Il vetturino era un candido angelo e, ai finestrini, s’affacciavano visi calmi e sorridenti. Il grande cocchio si fermò davanti alla mia lapide giusto il tempo di farmi salire e ripartì.
I meriti, quelli veri, quelli che contano, vengono sempre riconosciuti, pensavo prendendo posto fra gli eletti. La malignità era nelle persone che avevo frequentato in vita e che deridevano la mia indole buona e giusta. Ora, però, raccoglievo quanto mi spettava anche se, devo dire, pure qui non tutto funzionava come avrebbe dovuto: «Scusi! Dico a lei! Lei dalla tunica azzurra, le spiace chiudere quel finestrino che qui dietro non si può stare e ci volano via le aureole… per cortesia!»

Quell’aria sferzante dal finestrino del traballante pulmino Ford Transit, mi riporta bruscamente alla realtà. Non che stessi dormendo, affatto! Ero immerso nel mio nuovo racconto, ormai che l’hobby letterario rimane il mio solo diversivo. Con la mia squadra di lavoro ho appena raggiunto il cartello “Kartoffelfeld n.18” (Campo di patate n.18). Un’altra giornata a cavare tuberi nelle campagne krucche della Bassa Sassonia. Del resto, coi Bund tedeschi al record storico di novecento punti di spread, c’è poco da stare allegri. Chino sino a sera sul solco di kartoffeln, a tradire il blu intenso di un cielo che vuol farsi baciare, è la cosa che più mi fa male.

 

Fulvio Musso

 

 

 

 

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