L’angolo di Full: “The beggars”
Acuto, spiazzante, romantico (nel senso più nobile del termine), amaro… Sono tutte caratteristiche del maestro Fulvio Musso che ritroviamo in queste righe.
Prima di lasciarvi all’attenta lettura del brano di oggi, vi ricordiamo che anche voi potete partecipare alla nostra rubrica di racconti. Trovate tutte le informazioni utili nel regolamento di Raccontonweb
Quando il maltempo non imperversa nel Golfo del Leone, il cielo di Marsiglia è d’una bellezza unica. Ero seduto al tavolo esterno di un Café insieme a Richard, uno dei miei parenti inglesi e unico attore professionista in famiglia. Avevamo scartato il suo vago italiano e il mio inglese elementare per attestarci su di un francese pittoresco che capivamo solo noi. Lo spazio all’aperto era pieno di avventori a godere la bella mattinata di sole e i vicini di sedia ascoltavano il nostro strano idioma dipingendosi sorrisi bonari o sguardi diffidenti a seconda dell’intruglio in cui intingevano il pennello.
Uno scaltro mendicante stava facendo affari d’oro fra i tavoli, avversato inutilmente da un cameriere.
«Non si trova personale per i lavori umili, ma per quelli umilianti ne abbiamo in abbondanza» mi sussurrò Richard con una espressione dura che non gli conoscevo.
Stranamente, ebbi l’impressione che quella sua frase ci avrebbe portato lontano. E poco dopo, infatti, Richard accostò la sua sedia alla mia adeguando il volume di voce: «Proprio in questa città feci una recita di tre mesi e, in quel periodo, vissi un episodio terribile del quale non so liberami.»
Rimase per un po’ con gli occhi chiusi, forse a riordinare le idee, poi prese a suonare quella sua magica voce di attore ed è incredibile come, un bel timbro di voce, catturi l’attenzione:
«Recitavamo venerdì, sabato e domenica. Nei giorni di pausa mi godevo il mare o, più spesso, volavo a Londra. Di fatto, ero continuamente in stazione e in aeroporto. M’ha sempre affascinato l’atmosfera sospesa che aleggia in quegli ambienti e che si nota anche nei movimenti e nelle espressioni dei viaggiatori. I soli a comportarsi con naturalezza sono i barboni, cioè gli inquilini di quelle strane case».
Da bravo attore, Richard cercava le parole più efficaci, peraltro il suo francese era buono, lo miscelava solo per burla e… per me: «Al distributore dei ticket vidi uno strano tipo di barbona. Della mendicante aveva gli indumenti e un trolley scassato con le sue povere cose. Non il portamento, né l’espressione. Mi sembrò persino di conoscerla e credo raffigurasse un volto della mia infanzia. Insomma, mi colpì».
Affondò lo sguardo nel boccale quasi a cercarvi quel volto.
«La donna era impacciata e la pensai in difficoltà con quei congegni elettronici, così mi offrii di aiutarla. Mi disse che le mancavano due euro per il ticket del suo treno né sapeva come risolvere. Subito pensai a un modo subdolo di chiedere l’elemosina, un modo che contrastava coi sentimenti positivi che m’aveva ispirato e mi sentii come tradito, ma… quasi a punire i miei cattivi pensieri, lei mi mostrò il display che registrava sei euro già versati e ne chiedeva altri due. Mi vergognai dei miei miseri sospetti e inserii subito la moneta mancante.»
Richard s’accese una sigaretta e per, qualche momento, tacque prigioniero di quel rituale.
«La donna», riprese, «guardò incredula il ticket che le porgevo e mi rivolse lo sguardo più luminoso che avessi mai visto. Mi ringraziò molto e m’assicurò che, quella sera, avrebbe detto delle preghiere speciali perché i miei desideri più ambiti si avverassero. Poi se ne andò trascinando il suo baracchino. Ancora e ancora si voltò per ringraziarmi.»
Fece una lunga pausa fissandomi senza vedermi.
«Qualche minuto dopo, mentre raggiungevo il mio binario, la vidi in mezzo ad altri disperati che aspettava un treno locale. Erano tutti pendolari dell’accattonaggio. Non so quale improvviso impulso mi guidò: tolsi dal portafogli una banconota da venti euro e la raggiunsi: “Signora, le era caduta al distributore dei ticket”, inventai. Gliela misi in mano e allungai subito il passo verso il mio treno.»
Richard prese a sorseggiare la sua birra. Pensai che la storia fosse finita e lo elogiai:
«E’ stato il gesto istintivo di una persona di cuore quale sei».
La mia voce, più che le mie parole, lo scosse. Posò adagio il bicchiere e concluse il racconto:
«Trovai l’articolo sul giornale il giorno dopo: “Mendicante accoltellata per venti euro”».
Restai di sale, sferzato anche dal suo tono improvvisamente brusco. Poi cercai d’interpretare i suoi sentimenti: «E’ terribile! Però tu non c’entri nulla… sono cose che accadono fra disperati.»
Mi rispose con tono bassissimo, quasi parlasse a se stesso:
«No, nessuna casualità, non fu il gesto di un disperato. Era tutto nella logica: quei poveracci sono gestiti dalle mafie e, secondo quei bastardi, lei aveva sgarrato trattenendo i venti euro. Io l’ho uccisa… io. Ed era innocente come un angelo… un angelo il cui volo non mi lascia…»
All’ora convenuta ci raggiunse una vecchia attrice, amica di Richard, per accompagnarci a Cannes in auto.
«Andate molto d’accordo voi due», notò sorridendo.
«Già, mi ha appena raccontato la storia tragica di una mendicante.»
«Ah… “The beggars”, una delle sue ultime recite: quella ambientata alla stazione. Ebbe molto successo anche qui a Marsiglia. Da qualche tempo Richard fatica a trovare scritture, purtroppo».
Per la seconda volta in pochi minuti, restai di sale.
«Beh, per oggi, una scrittura l’ha rimediata» replicai freddamente.
L’auto filava in autostrada. Invece di provare sollievo per la tragedia dissolta e la salvezza dell’angelo, nutrivo solo disappunto per la mia buona fede carpita. Tanto sono bui certi anfratti della mente e perversi quei meccanismi che ora reclamavano la mancata vittima. Stranamente, continuavo ad abbinare quel titolo, “The beggars”, al Comedy Theatre di Londra e… improvvisamente ricordai: avevo visto quella commedia alcuni anni prima, in Inghilterra, ed era tutt’altra storia. Nulla a che vedere con l’angelo innocente di Marsiglia. Un angelo il cui volo, ormai, non mi lascia.
Fulvio Musso