L’angolo di Full: “Trans Europe Express”
A ottantasette anni, la signora Armida Vanzetti è salita sul suo ultimo treno senza passare dalla stazione, come canta De Gregori. La sua ex badante, Ivana, torna oggi in Romania, dai suoi quattro marmocchi cresciuti di un anno e qualche centimetro.
Il Trans Europe Express rumeno la sta aspettando in strada. E’ uno dei tanti pulmini Volkswagen, che vanno su e giù stremati, macinando venti, trenta ore per viaggio fra un’Europa e l’altra.
Questo è stracarico, esausto, stipato in ogni buco. Interni rivestiti di nicotina e imbottiti di rigurgiti anni cinquanta. Fumo, pacchi, umori, uomini e barbe. Nel suo angolo, una ragazza s’è fatta piccola piccola. Intanto la signora Ivana cerca disperatamente d’infilare valige, trolley e borse dove non entra più niente.
La ragazza ne approfitta per scivolare fuori e chiedere alla padrona di casa un minuto di ospitalità per fare pipì. E’ in viaggio da undici ore e non ha mai osato prima: con tutti quegli uomini, dice. E’ carina, garbata e ha occhi chiari, luminosi, tipici delle lande sperdute dell’Est. Una nota gentile che non smorza i clamori intorno. Lavora in Italia come stagionale, poi spartisce con la famiglia il crudo inverno rumeno, racconta alla signora di casa mentre ridiscendono le scale.
Intanto si è risolto di legare trolley e valige sul portapacchi stracolmo, senza che nessuno dei cinque uomini, d’ogni età e risma, smuova una chiappa per aiutare la donna. Lo fa la ragazza che s’arrampica come una gatta sul tettuccio e trova la forza di spostare un grosso rotolo di tappeti invenduti.
Un ciglio luccicante è l’ultimo omaggio della signora alla ex badante, poi l’Europe Express sveglia il motore e arranca via col suo bazar e gli otto viaggiatori: cinque uomini, due donne e, sul portapacchi, dentro un rotolo infarcito di ghiaccio secco, i tappeti invenduti, cioè la salma di un parente da seppellire, low cost, in Romania, secondo testamento.
La ragazza intanto s’addormenta aggrappata al suo frammento di poesia, un vaso d’alloro che tiene in grembo da undici ore.
Fulvio Musso
Nda: Tratto da testimonianze dirette.
La chiusa è già una poesia! E’ racchiuso in queste due righe il vero significato del racconto. Il laurus nobilis è la pianta nobile per eccellenza e la ragazza, al pari dei “poeti laureati” dell’antichità, è una “laureata” della vita. L’autore non dice tiene sulle ginocchia, ma “tiene in grembo” quasi a voler significare la gestazione di una lontananza durata un tempo infinito. Altrimenti l’autore avrebbe scelto un altro tipo di pianta.
Chissà, se la ragazza si chiamava Dafne e chissà, se aveva portato con sé un cestino di quelle “trombe d’oro della solarità” per dare vigore a quel “crudo inverno” che lascia immaginare una realtà non facile da vivere, anche per i continui distacchi, le partenze e i ritorni… e non ultime quelle sepolture low cost, desiderio espresso di affidare le proprie ossa alla propria terra.
Delicato racconto.
ciao, Lucia