L’angolo di Full: “Riciclaggi”

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Il direttore dell’Eurocentro Commerciale,
dottor Lucio Mancàssola, era un signore dall’aria grave e nell’insieme preoccupato come se fosse continuamente sopraffatto da situazioni di intollerabile difficoltà. Aveva baffi nerissimi e pochi capelli rigorosamente pettinati. Era afflitto da artrite alle dita dei piedi e da una moglie igienista talmente schizzinosa che quando usava il bagno per necessità corporali, calzava guanti “usa e getta”. I preliminari igienici dei loro rari rapporti amorosi erano tanto lunghi e meticolosi da disarmare un toro di Siviglia. Dopo quattro mesi di matrimonio avevano concepito un figlio e un tacito accordo di reciproca castità.
Voto che divenne presto unilaterale. Correva voce, infatti, che una giovane dipendente dell’Eurocentro Commerciale, promossa in pochi mesi dal magazzino alle casse e dalle casse agli uffici, fosse regolarmente posseduta in auto dal direttore, dottor Mancàssola. Di norma, una sera si e una no, un po’ brutalmente e senza alcun preambolo igienico. L’impiegata in questione era la giovane e appetitosa Maria Ausilia Bò.

    …La giovane e appetitosa Maria Ausilia Bò,
i cui genitori s’erano certamente preoccupati di pareggiare l’eccessiva brevità del suo cognome, abitava in un grosso casolare sdraiato fra le verdi e serafiche creste collinari della Brianza. In quel casolare vivevano due famiglie lontanamente imparentate fra loro, alla più povera delle quali apparteneva Maria Ausilia. Talmente più povera che, anche le sue finestre, offrivano solo la vista delle brume azzurrine che s’alzavano pigre da un assonnato laghetto mentre, l’altro lato del casolare, s’affacciava sulle maestose Alpi incappucciate di bianco o arrossate da tramonti clamorosi.
L’insensibilità del destino aveva invertito la giusta assegnazione delle panoramiche per cui, le più radiose, invadevano la stanza di una seconda cugina, romantica e introversa, che avrebbe ben fantasticato sulle malinconiche brume del laghetto dentro il quale, la volubile Maria Ausilia, vedeva invece affogare tutti i suoi sogni, come lei stessa confidava, fra una copula e l’altra, al dottor Mancàssola il quale, peraltro, appariva ben più interessato alle vicende della sua seconda cugina.

     …La sua seconda cugina,
più matura di cinque anni e molto bella, si chiamava Vera, stupendo nome che perpetuava quello della venerata nonna materna sennonché l’incolpevole ragazza aveva acquisito, ovviamente, il cognome del padre: Vacca.
Comunque lo si mettesse, anteponendo o posponendo il “Vera” al disgraziato cognome, l’effetto non cambiava. Dopo lo sciagurato suggerimento del padre, di adottare il secondo nome, Candida, e quello evasivo della madre che, quando si ha la coscienza a posto tutti i nomi vanno bene, venne in soccorso alla dolce ragazza un suo compagno di scuola, perdutamente e inutilmente innamorato il quale, plagiando la moda del momento che assegnava sigle come Bibì a Brigitte Bardot e Cicì a Claudia Cardinale, prese a chiamarla Vivì. Da allora, Vera Vacca divenne per tutti Vivì Vacca e, molto misteriosamente, rimediò questo appellativo anche all’anagrafe. Col nuovo nome appariva ancora più bella ed anche le sue malinconiche fantasticherie si dissolsero come le nebbie azzurrine che ogni giorno diventavano cielo sopra l’assonnato laghetto. Nè mancarono le insinuazioni di un disinvolto adeguamento della ragazza al suo disimpegnato cognome, come sarebbe peraltro avvenuto alcuni anni più tardi.

     …Alcuni anni più tardi,
nell’intricato e fantasioso arabesco intessuto dal destino coi sottili fili cui sospende le vite, uno sguardo della bellissima e ancor giovane Vivì Vacca, profondo come un abisso blu, scavò una voragine nell’anima di un maturo signore, all’anagrafe Elio Fumagalli, uomo di moderato fascino e umori vagamente malinconici che sfoggiava con garbo abiti gessati, mocassini lucidissimi, cravatte esclusive e camice di seta tussah come si conviene a un professionista giocatore di poker e impenitente scommettitore. I suoi capelli, un tempo castani, poi grigi e quindi canuti, s’erano infine adattati a un colore che lasciava spazio, anche quello, alle scommesse.
Il Fumagalli abitava in un decoroso quartierino di quattro stanze che spartiva, da ormai trent’anni, con la moglie, signora Edda.

La signora Edda
era una donna minuta che vestiva con scrupolo e cauta fantasia. Era molto più bassa del marito: un divario più frequente e naturale di quanto si pensi. Infatti, le persone piccole, uomini o donne, cercano spesso una rivalsa nell’alta statura del proprio partner, il quale, non avendo tali crucci, acconsente di buon grado riconoscendo, alla figura minuta, una maggiore armonia estetica. Un risvolto psicologico che ha salvato da squallide vite solitarie una moltitudine di bassotti perpetuamente incazzati e altrettanti giraffoni sgraziati, per consolare i quali, si recita pietosamente l’opinabile detto altezza, mezza bellezza.
La signora Edda dedicava meticolose cure a tutti gli oggetti di casa senza considerare che le sarebbero comunque sopravvissuti. Lo stesso tipo di attenzione aveva per il marito del quale s’occupava solo materialmente. E come ogni altro oggetto domestico, le sopravvisse anche lui. Infatti, alla metà esatta d’un inverno, la signora Edda, banalmente com’era vissuta, morì, lasciando una modesta eredità che venne spartita fra l’addobbato e maturo marito, Elio Fumagalli, e il loro unico figlio, avvocato Tarcisio.

… l’avvocato Tarcisio,
dalla madre aveva ereditato anche la mania del riciclaggio, conseguenza della cucina degli avanzi che l’aveva cresciuto, perché, come ci hanno spiegato, noi siamo quello che mangiamo.
Una mania che lo induceva a riciclare qualsiasi cosa e che si manifestava anche nelle sue opere, riciclate pure quelle. L’avvocato Tarcisio, infatti, coltivava l’hobby della scrittura che lo portava a scrivere dei racconti gustosi e variegati come questo, ma riciclati, cioè recuperati da precedenti brani incompiuti, assemblati e destinati a rimanere essi stessi irrisolti. Quindi ripresi e ribaditi a ripetizione.
Come le sue cause in tribunale. O come i suoi giorni… come i giorni di tutti noi. Come il ripetersi delle nostre vite monotone e irrisolte. Arricchite o abbruttite da nuovi episodi subito assorbiti, confusi e riciclati. Vicende e personaggi che si ripresentano monotoni ogni mattino: dal portinaio giù in guardiola, all’edicolante che ci vende le solite palle. O chi, invece, ce le scassa, come il capoufficio, o il direttore, riciclato pure quello a ripetizione. In questo caso, nel direttore dell’Eurocentro Commerciale.

fulvio musso  …il direttore dell’Eurocentro Commerciale,
dottor Lucio Mancàssola, era un signore dall’aria grave e nell’insieme preoccupato come se fosse continuamente sopraffatto da situazioni di intollerabile difficoltà. Aveva baffi nerissimi e pochi capelli rigorosamente pettinati. Era afflitto da artrite alle dita dei piedi e da una moglie igienista, talmente…

 

Fulvio Musso

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