Anzianità e benessere: un valore da… riscoprire

In un momento come quello attuale in cui la sanità nazionale (in tutto il suo contesto) versa in condizioni di grande precarietà per la carenza di risorse umane, strutturali e finanziarie, il problema degli anziani merita una particolare attenzione, sia perché è in continuo aumento l’età media (84 anni la donna, 79 l’uomo) sia per le relative esigenze di carattere socio-sanitario e assistenziale. Gli anziani sono oggi da considerarsi anche una “preziosa” risorsa sia nelle relazioni familiari e parentali che nel tessuto sociale, e del volontariato in particolare. Considerazioni sulle quali si trovano oggi tutti d’accordo se si mette in primo piano il concetto di qualità di vita, la quale non si fonda soltanto sugli aspetti soggettivi ma anche su componenti psicologiche rappresentative di ordine cognitivo ed emotivo. Secondo Dario Galati, professore ordinario di Psicologia dell’università di Torino, ciò va inteso come rappresentazione che ogni soggetto si fa della sua qualità di vita in cui prevale il sentirsi contento, sereno, felice (sentirsi anziani infelici significa avere un tono emotivo negativo, n.d.r.); le emozioni sono importanti perché indicano il segnale della qualità del rapporto tra una persona e il suo ambiente; e la capacità di sorprendersi è straordinaria, come pure quella di indignarsi mettendo in atto comportamenti anche critici…

A parte gli anziani che soffrono di patologie croniche (e spesso anche invalidanti), emerge che oltre la metà degli stessi ha emozioni dominanti positive, negative solo nella misura del 13 per cento. Tra le condizioni che generano pensieri positivi si impongono i momenti sociali che sono i più gratificanti: si sta meglio quando si va a trovare amici o parenti, piuttosto che vivere in solitudine. Ma la serenità è talvolta condizionata e può essere favorita da un buon stato di salute, dalla convivenza con più familiari e da una sicurezza economica; l’amicizia e un ruolo nell’ambito del volontariato sembrano incrementare la condizione di serenità e benessere psicofisico, oltre che spirituale sostenuto dalla fede.  Ma è indubbio che non si può eludere il ruolo della Medicina per gli anziani attraverso l’opera del geriatra e del gerontologo, i quali devono riconoscere che l’invecchiamento è da intendersi anche come evoluzione della salute, senza disattendere tutti quegli aspetti che sono propri della cultura medica generalizzata, soprattutto in termini di prevenzione delle patologie e relative complicanze. «Il processo principale dell’invecchiamento biologico – spiega Luigi Maria Pernigotti, direttore del Dipartimento Integrato di Lungassistenza e della Geriatria dell’Asl 1 di Torino – è stato quello di allargare le diversità del modo in cui si invecchia: tanti sono gli anziani, in gran parte non autosufficienti, ed altrettanti i drammi legati ai costi, previsti e non. Il problema della non autosufficienza è di grande rilevanza con un trend negativo per il loro numero, e il ruolo della Medicina consiste proprio nell’affrontare tale realtà separando le problematiche dal punto di vista dei diversi tipi di invecchiamento».

 

La vita oltre la terza età tra ottimismo e saggezza

Una volta raggiunta una “certa” età è il caso di abbattersi o sentirsi esclusi dal ciclo della società produttiva? Non davvero! Gli anziani, sul cui termine si potrebbe ancora disquisire, sono in realtà i “nuovi” giovani perché ricchi di esperienza e saggezza e dotati di spirito di libertà e avventura… Molti di loro vivono una “seconda” gioventù: camperisti olandesi (ultra 70 enni) girano l’Europa; ultra 80 enni varcano il Continente sempre in camper… Se si torna indietro nella storia dell’antica Grecia o alla Roma Imperiale, ci si rende conto che in fondo l’età avanzata era considerata un privilegio e non un difetto. Non sono pochi, ad esempio, i premi Nobel non più giovani, ed altrettanti ricoprono ruoli istituzionali e socio-culturali anche di particolare rilevo e responsabilità.

Attraverso le più svariate discipline artistiche l’individuo anziano trova i risvolti più significativi della sua esistenza, che gli consentono di esprimersi, realizzarsi, imporsi nella società, apprezzare di più la vita, “ritrovare” se stesso… Emmanuel Kant scrisse a 74 anni di Antropologia e Metafisica dei costumi e Disputa delle facoltà; il Tintoretto, a 74 anni, dipinse il Paradiso, una tela di venticinque metri per dieci. Giuseppe Verdi, a 74 anni, compose l’Otello, a 80 anni il Falstaff e a 85 anni l’Ave Maria, lo Stabat Mater e il Te Deum; Lamark, a 78 anni, ultimò la sua grande opera di zoologia: la storia naturale degli invertebrati; Catone cominciò a studiare il greco a 80 anni; Goethe finì il Faust a 80 anni; Tennyson a 83 anni scrisse Crossing the Bar. Tiziano a 98 anni dipinse la Battaglia di Lepanto; Anna Mary Robertson Moses scoprì la pittura a 78 anni.

Ed ancora. De Chirico (1988-1978), Pablo Picasso (1881-1973), Morandi (1890-1964), Ensor (1860-1949), Duchamp (1887-1968), per quanto riguarda alcuni pittori del secolo scorso; ma anche poeti e scrittori come Bertolucci (1991), Caproni (1912), Alberto Moravia (1907-1991), Alessandro Manzoni (1785-1873), Ludovico Ariosto (1474-1532) ed altri, anche in tarda età hanno esercitato l’arte con particolare significazione. La terza età, dunque, non è da considerarsi come una malattia, bensì una tappa dispensatrice di saggezza. Cicerone scriveva che «la natura non può aver trascurato l’ultimo atto», giacché è inconfutabile che una sana e buona vecchiaia è motivo delle esperienze acquisite, del nuovo modo di leggere e vedere le cose, di giudicare senza animosità. Il dottor Albert Schwitzer (organista di genio, medico, filosofo e filantropo, 1875-1965) negli ultimi suoi anni di vita ebbe a dire che le malattie tendevano a lasciarlo molto rapidamente perché nel suo corpo trovavano così poca ospitalità. Ma anche Madre Teresa di Calcutta (1910-1997), sino alla fine dei suoi giorni si dedicò con particolare energia ai più poveri dei poveri.

Per il mantenimento in salute, delle relazioni sociali, del lavoro e di ogni altro interesse ed impegno, alla persona anziana deve corrispondere sempre il sostegno della comunità tutta (istituzioni pubbliche comprese), a garanzia di una migliore qualità esistenziale; anche se è noto che sino ad oggi è stato fatto di più per aiutare la gente a raggiungere la vecchiaia che per aiutarla a godersela. Ed è forse per questo che in Irlanda si dice: «20 anni per crescere, 40 per lavorare, e gli ultimi 20 per essere felici…»; anche se in realtà, ai giorni nostri, come sosteneva François de La Rochefoucauld (1613-1680) «Pochi sanno essere vecchi». A sostegno di questo auspicio, Margaret Willour (1892-1988) diceva: «Mai perder di vista il fatto che i vecchi hanno bisogno di poco, ma di quel poco hanno tanto bisogno». E ciò pone inevitabilmente una domanda: in che cosa consiste l’età della saggezza? È quella in cui si può dare una risposta a qualunque problema, ma non c’è più nessuno che vi fa delle domande! Infine. Anche i politici invecchiano? Si, certamente, ma con la differenza (sostanziale) che quasi tutti invecchiano meglio grazie alla loro ricca pensione, e altri vitalizi…

 

Ernesto Bodini

(giornalista scientifico)

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