BREVE RIEVOCAZIONE DELLA VITA DI UNA COPPIA DI CIECHI A TORINO
Tratta dal quotidiano Stampa Sera di oltre quarant’anni fa. Esempio di un vissuto colmo di intraprendenza, determinazione e dignità.
di Ernesto Bodini (giornalista e divulgatore di tematiche sociali)
C’è chi sostiene che le esperienze del passato, specie se lontano, siano soltanto un ricordo e che tale debba restare. In realtà a volte rievocarle può essere motivo di considerazione dei fatti e delle persone interessate, e magari utili per trarne esempio rapportandole ad oggi. In particolare mi riferisco alle problematiche relative alla disabilità, sempre più presenti nella nostra società. Personalmente tratto questo argomento da molti anni, non perché ne sono io stesso interessato (in forma relativamente lieve per via dei postumi della poliomielite contratta in epoca ante-vaccino), ma esplicitamente considerando tutti coloro che sono affetti da una disabilità ben più grave, tale da limitare la loro autonomia se non anche la vita di relazione. Le “varianti”, come ben sappiamo, sono molte: dalla disabilità fisica, alla cognitiva e sensoriale, etc. Ma con questo articolo vorrei richiamare l’attenzione sulle persone cieche e ipovedenti e, a tal riguardo, mi sovviene il caso di una coppia che cito con i soli nomi, Laura e Giuseppe, oggi più che adulti e che conosco da anni… ma dei quali da molto tempo non ho più notizie. La loro realtà familiare e sociale è stata raccontata dal collega giornalista Maurizio Spatola (oggi scomparso), pubblicata dall’allora quotidiano torinese Stampa Sera (edizione pomeridiana) il cui articolo del 23/11/1981 ad un terzo di pagina titolava: “Manca solo un bambino nella casa di Laura” e l’occhiello: “Una serata con due sposi ciechi”. Due sposi (in realtà conviventi), allora giovanissimi (poco più che trentenni), che hanno invitato una sera a cena il giornalista nel corso della quale si è fatto raccontare la loro storia, da quando e come si sono conosciuti sino alla loro sistemazione: una casa e un lavoro a loro adeguato. Riprendendo alcuni spezzoni l’articolista ne ha descritto la vita quotidiana in completa autonomia, che hanno spiegato: «In casa facciamo tutto da noi, non abbiamo nessuno che ci aiuti… Ci angustia soltanto l’assenza di un figlio: di nostri non ne possiamo avere, né ci è consentito adottarne uno». Un desiderio rimasto inappagato ma che non ha scalfito in alcun modo la loro vita di relazione, peraltro per anni socialmente attiva anche all’interno della sezione locale dell’Unione Italiana Ciechi (UIC). Laura ha perso definitivamente la vista a 14 anni in seguito alle conseguenze di un fallito intervento sul glaucoma congenito di cui soffriva. «È stato un trauma più per i miei genitori che per me – ha raccontato al cronista –. Ho dovuto impuntarmi per proseguire gli studi, prima in Istituto poi all’Università, dove ho seguito i corsi di Pedagogia, e quasi per caso sono arrivata a Torino. Qui ho fatto il corso per centralinisti e ho conosciuto Giuseppe». In seguito, dopo non poche difficoltà, Laura è stata assunta in banca grazie alla legge sul collocamento obbligatorio (482/1968, n.d.r.). Giuseppe (ipovedente) proveniva dalla Calabria ed era venuto a Torino dove ha raggiunto il fratello, ha conosciuto Laura e l’esistenza della sezione piemontese dell’UIC. Ha poi conseguito la licenza elementare e frequentato il Corso per centralinisti, per poi essere assunto da una grande Compagnia di Assicurazioni, divenendo indipendenti economicamente, gratificati dal loro lavoro e dall’impegno sociale alla UIC. Ma in merito alla non possibilità di avere un figlio proprio, Giuseppe tra l’altro ha precisato: «… visto che potremmo tranquillamente pagare una persona fissa per dare una mano in casa, che cosa ci impedirebbe di essere egualmente dei genitori adatti per un bambino che ne è privo?». Forse la storia di Laura e Giuseppe non è la sola ma sicuramente, a mio avviso, ancora poca è la sensibilità nel voler penetrare nel mondo “ovattato e buio” delle persone cieche o ipovedenti, per immedesimarsi nella loro vita, e magari anche condividere i più umani desideri come quello di diventare genitori. Conservo ancora questo articolo del collega-amico Maurizio, come pure il ricordo di aver conosciuto Laura e Giuseppe che mi hanno “ispirato” nel rievocare (sia pur in sintesi) la loro storia.