CARENZA DI PERSONALE SANITARIO NELL’AMBITO DELLA SALUTE MENTALE: PERCHE’?

Proviamo a considerare i vari aspetti nella loro interezza e con la massima obiettività, soprattutto per l’assistenza ai pazienti con malattia mentale

di Ernesto Bodini (giornalista scientifico e biografo)

Da troppo tempo, ormai, si lamenta la carenza di personale sanitario: medici, infermieri e Oss; e proprio per tale costante carenza e le conseguenze che ne derivano, non si riesce a “sanare”  (sia pur in parte) il grave problema. Quasi tutti i politici-amministratori coinvolti nelle problematiche sociali come questa, hanno più o meno tentato o stanno tentando qualche “laconico” suggerimento o iniziativa, peraltro non trovando intese comuni, e finora siamo più o meno al punto di partenza. Tralasciando le varie ipotesi di proposte per incrementare le varie figure professionali, credo che al di là di qualche possibile incremento, non si consideri a sufficienza una della caratteristiche indispensabili degli operatori (oltre al titolo di studio: diploma o laurea, e al superamento del concorso per l’assunzione), ossia la predisposizione per esercitare quella determinata mansione. Prendiamo ad esempio le figure da assegnare ai Servizi di Salute Mentale, e quindi alle varie forme di disabilità che vanno ben oltre gli aspetti psicologici. Infatti, non è certo sufficiente un “pezzo di carta”, per quanto meritato sul campo, a garantire quella umana e particolare dedizione verso coloro che sono affetti da malattie della sfera psichica, e tanto meno, anche se necessario, un incremento stipendiale che può (o potrebbe) migliorare le performance assistenziali. Detto questo, nulla di personale verso chi è incline allo studio universitario in queste discipline, proprio per non essere tacciato di voler fare un processo alle intenzioni; ma nel contempo si rammenti che nel nostro Paese non sono rarissimi i casi di operatori (non medici) che nel tempo, sopraffatti da una sorta di assuefazione, sono stati responsabili di mancata assistenza e maltrattamenti nei confronti dei pazienti (anche minori disabili) loro assegnati; come pure minori ospiti negli asili da parte di insegnanti e inservienti. Ma perché succedono questi casi? Anzitutto si cominci a considerare i “limiti” dell’Essere umano, il carico eccessivo di lavoro, la subentrata assuefazione per lo stesso, e infine il fatto che questi operatori a mio avviso dovrebbero essere sottoposti periodicamente a “test psicoattitudinale”, proprio per verificare la costante presenza (o meno) delle attitudini per svolgere quella umana e delicata mansione. Ma questo non mi risulta che avvenga e in taluni casi le conseguenze sono inevitabili. Secondo il mio modesto parere, a questi operatori (che non sono necessariamente medici) si dovrebbe trasmettere loro alcune nozioni di storia, scienze sociali, etica ed esempi di illustri protagonisti del sostegno alle persone deboli e indigenti. A questo proposito si rammenti il valore umano e professionale del prof. Franco Basaglia (1924-1980), come pure la storica infermiera Florence Nightingale (1820-1910) e, più spiritualmente, il filantropo dott. Albert Schweitzer (1875-1965), Don Carlo Gnocchi (1902-1956), e Madre Teresa di Calcutta (1910-1997). Esempi di grande e particolare valore che hanno dimostrato una instancabile dedizione per l’assistenza, cura e rispetto della dignità umana. Non importa se erano titolati, o meno, ma erano accomunati dalla finalità prettamente umanitaria: senza cedimenti e per tutta la vita. Certo i tempi d’oggi per certi versi non sono paragonabili ai loro in cui il denaro era unicamente finalizzato alle esigenze materiali dei loro assistiti, mentre gli operatori d’oggi hanno l’esigenza di avere un lavoro, uno stipendio adeguato e la tutela della loro incolumità. Ma ciò non basta perché, come ripeto, chi deve accudire una persona inerme dal punto di vista fisico e mentale, ha il dovere etico e morale di rispettarla incondizionatamente e, in seno a ciò, non mi sembra il caso di ribadirlo ulteriormente. Per quanto riguarda il problema relativo ai Servizi per la Salute Mentale, in Piemonte ad esempio, vi sono 39 professionisti ogni 100 mila abitanti, contro i 60 della media nazionale, e che per superare tale carenza servirebbero più fondi da destinare a tutti i Dipartimenti di Salute Mentale; in difetto, le famiglie di questi pazienti saranno costrette a ricorrere alla assistenza privata, o al Pronto Soccorso. A mio modesto parere, quello che manca, come sempre, è anche il rapporto costante con le Istituzioni preposte garantendo più vicinanza ai famigliari di questi pazienti e, come ripeto, garantire la professionalità e la dedizione degli operatori i quali non devono basare la loro scelta unicamente per lo stipendio di fine mese: una persona con disabilità mentale non è un oggetto, e chi la assiste non deve essere un “robot-umanoide” ma un Essere altrettanto umano. Nel rispetto di queste concezioni si potrà forse sperare in una, sia pur lenta, risalita con la benedizione di Dio e di chi ha aperto la strada alle Scienze mediche, infermieristiche e sociali.

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