C’È CHI GIOCA E DIVERTENDOSI SI ARRICCHISCE
Con il sostegno della tifoseria e degli sponsor. Altri, invece, assistono passivamente… distanti dall’uguaglianza. Particolarmente utile lo sport riabilitativo per i disabili… ma senza introiti.
di Ernesto Bodini (giornalista e divulgatore di tematiche sociali)
Per carità non fermiamo il mondo ludico come ad esempio lo sport, agonistico e non, che detto per inciso, è fonte diretta e indiretta di beni e consumi, oltre che di svariati posti di lavoro. I protagonisti che ne fanno parte hanno diritto ad esercitare tali attività ludiche sia pur caratterizzate dalla concezione di professione e/o professionalità, ma al tempo stesso si consideri che tra una performance e l’altra (che molti ritengono maestria), in primis si divertono loro stessi e contemporaneamente la platea di tifosi e fan d’ogni sorta i quali, con il loro sostegno unitamente a quello degli sponsor, producono loro soldi a sei-sette zeri. Questi assi dello sport, e quanti al loro seguito, sostengono che la loro attività è un vero e proprio lavoro, ma a mio avviso non è proprio così perché, ad esempio, i calciatori, i pugili, i ciclisti in realtà svolgono attività fisica (mantenendosi in forma) e nello stesso tempo si divertono, e divertirsi non mi sembra sia una gran fatica. Se poi il loro conto in banca aumenta notevolmente, ogni ipotesi di “fatica” svanisce sul nascere. L’idea di assistere un personaggio che sa “piroettare” e dare calci al pallone in un certo modo, o un pugile che sa mettere a tappeto l’avversario (in questo caso anche se non lesiva sempre di violenza si tratta), non mi ha mai entusiasmato, anzi; e chi scrive non è affetto da invidiomania e tanto meno da venalità. Detto questo, vorrei estendere queste considerazioni rilevando che mentre da una parte ci si diverte e si diventa ricchi con poca “fatica”, dall’altra c’è chi piange miseria per le più svariate cause, per non parlare di chi soffre ed è oppresso dai propri simili, e a poco valgono eventuali contributi di generosità verso di essi. Mi rendo conto che il mio anticonformismo forse va oltre misura, ma nello stesso tempo il richiamo è al pensiero dell’uguaglianza; un obiettivo che in nessuna era è stato mai raggiunto da nessun popolo di qualunque etnia e religione di appartenenza, ma il non tendervi minimamente rende l’Umanità sempre meno umana…
Essere impopolari, sia pure a fin di bene, dunque, mi fa inscrivere tra gli indagati degli indesiderati; ma si sappia comunque che la sete dell’equità è un’arsura senza fine che va spenta individuando quelle fonti dove il ludico sia pure di diritto non prevalga; anche se c’è molto di peggio… Ma è la mia serenità d’animo che mi guida, come pure il mio povero materialismo, sono due concetti che mi sostengono sia pur in presenza di difetti, con la differenza che ben pochi hanno l’onestà intellettuale di ammetterli pubblicamente. E per quanto riguarda le Olimpiadi? Un movimento planetario di relazioni sociali, opportunità di lavoro in diversi ambiti, di turismo e di molto denaro, ma anche di soddisfazioni personali il cui protagonismo fa dire a tutti: «Io voglio essere il migliore e non mi sento appagato se sul podio non raggiungo la postazione numero uno». Tutto ciò una contraddizione? Niente affatto, e non me ne vogliano gli interessati e i loro fan che ogni settimana invadono stadi e platee; mentre chi mi legge non può che razionalizzare cercando di comprendere che farebbe bene alla coscienza di tutti suddividere il razionale dall’irrazionale, come la normalità dall’eccesso. Un’ultima considerazione: le persone con disabilità e che praticano sport, agonistico e non, io credo che in loro prevalga non solo il senso della competizione, ma per molti anche l’opportunità fisico-riabilitativa, e nel contempo occasione per essere accolti nel tessuto sociale senza discriminazione, dimostrando il senso di parità e di uguaglianza. Ma questo meriterebbe un approfondimento a parte.