Cinema: con “Terraferma” Crialese evita lo scoglio della retorica

In un illuminante articolo comparso lunedì scorso su La Repubblica, Ilvo Diamanti scrive saggiamente: “Ci sentiamo stranieri a casa nostra, da ciò la ragione di tanti film italiani su gli immigrati quest’anno a Venezia. In realtà parlano di noi. Sperduti e spaesati nel Paese di Terraferma”. In effetti, il terzo lungometraggio di Emanuele Crialese, stuzzica l’emotività e l’immedesimazione dello spettatore, al pari di Respiro e Nuovomondo, gli altri due film “acquatici” del talento romano di origini siciliane.

La forza evocativa del mare è la protagonista indiscussa di Terraferma, con storie somiglianti a onde imprevedibili, che avvolgono e trascinano con sé l’attenzione della  sala.

La prima onda narrativa del film canta dei pescatori, di un lavoro antico eppure destinato ad esauristi (“si pescano più uomini che pesci ormai”, si dice nel film). La seconda ondata narrativa introduce la ricerca di un’alternativa alla pesca: si rinfrescano le pareti delle vecchie case per affittarle ai turisti; si tirano le reti in barca per preparare i pescherecci ai giri turistici dell’isola; s’infrange la bellezza vergine delle spiagge per allestire chiassosi stabilimenti balneari.

Si gettano le basi, e questa è la forza che sembrerebbe trionfare tra le mille maree del film, per un futuro non più nell’isola, anche se poi Crialese non lascia punti di riferimento e facili salvagenti agli spettatori-naviganti, che sguazzano contenti nel contrastato panorama di personaggi e visioni antiche e moderne della vita e degli affari. Così, gli incontri tra i giovani turisti e gli isolani strappano sorrisi e contemporaneamente lasciano riflettere, in attesa della terza ondata narrativa – la più dirompente del film – che introduce il tema dell’immigrazione.

Se avete paura di annoiarvi, sappiate che lo scoglio della retorica è stato circumnavigato con maestria da Crialese. Se non vi spiegate cosa ci faccia Beppe Fiorello in un cast che annovera anche i bravissimi Mimmo Cuticchio e Donatella Finocchiaro, aspettate di conoscerne il personaggio. Se siete i tipi che guardate le classifiche al Box Office e non vi convince l’ottavo posto di Terraferma (ma siamo solo al primo weekend di programmazione), sappiate che vivete in uno strano Paese, in cui i cittadini hanno eletto un Governo che legifera sull’immigrazione clandestina in un certo modo, ma poi finanzia, tramite il Ministero dei Beni Culturali, pellicole fondamentali come questa.

A Venezia i giurati italiani Alba Rohrwacher e Mario Martone hanno faticato non poco per fare comprendere al presidente della giuria Darren Aronofsky (quello di The Wrestler e Cigno Nero) il tema squisitamente italiano dell’immigrazione clandestina nel mar Mediterraneo, ma il premio della giuria a Terraferma non va letto soltanto in chiave politica. Hanno pesato, e tanto, anche le emozioni e il fascino tipico delle opere che, staccandosi dalla mediocrità, si fanno ricordare a lungo.

Andrea Anastasi

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