Il colore della pelle nell’America degli anni ’60
di Ernesto Bodini
(giornalista e opinionista)
Mi capita di rado di potermi distendere in poltrona in relax alla ricerca di una pellicola di “buon gusto”, giacché le emittenti televisive (in costante concorrenza) non sempre propongono titoli che valga la pena apprezzare, anche se di vecchia data… Ma qualche sera fa una emittente nazionale ha riproposto “Indovina chi viene a cena?” (titolo originale: Guess Who’s Coming to Dinner), un film color del 1967 ambientato negli Stati Uniti, con un cast d’eccezione: Katharine Hepurn, Spencer Tracy, Sidney Poitier e Katharine Hougthon i principali protagonisti. L’ottima interpretazione ha valorizzato al meglio la trama, ponendo in evidenza quella che sino a non molti anni fa negli USA era ancora netta la distinzione tra bianchi e neri, anche se non soprattutto tra i ceti sociali più abbienti.
La trama
Joanna Drayton (Joey), una ragazza americana appartenente ad una agiata famiglia liberal di San Francisco, si innamora di John Prentice, uno stimato medico afroamericano conosciuto pochi giorni prima alle Hawaii. I due hanno deciso di sposarsi e si recano a San Francisco dove la ragazza intende presentare il fidanzato ai propri genitori, il padre Matt (Spencer Tracy), noto editore e giornalista, e la madre Christina (Katharine Hepurn) titolare di una galleria d’arte, prima che questi riparta la sera stessa per New York e poi per Ginevra dove è atteso per importanti impegni di lavoro. La ragazza lo vorrebbe seguire ma lui esige prima l’approvazione incondizionata dei genitori di lei alla loro unione. La madre Christina che crede nella sincerità dell’unione si mostra più condiscendente, ma Matt è più restio per le possibili difficoltà che la coppia andrebbe incontro per la differenza etnica; e la situazione si va complicando quando la ragazza invita a cena i genitori del suo John che non sospettano che la ragazza è bianca, i quali accettano recandosi a casa dei Drayton. Inizialmente i genitori dei rispettivi figli si mostrano impacciati (quasi increduli), ma poi la situazione diventa più “morbida”: le madri si trovano d’accordo nel credere a accettare un amore così sincero; i padri sembrano non accettare alcuna condizione, mentre il giovane medico si ribella al padre gridando il suo amore per la ragazza che va ben oltre il colore della pelle. Fino a quel momento Joanna è all’oscuro della posizione dei genitori; ma alla fine il “coriaceo” e conservatore Matt richiamerà tutti in salotto per rilevare che anche per lui l’amore è un sentimento più importante del diverso colore della pelle, affermando con non poca commozione che i due giovani sono “due esseri speciali”.
Anche se il film (nella foto una scena) non ha suscitato particolare commozione, sia perché datato che per la signorilità recitativa, il riproporlo a mio parere è stato un toccasana per risvegliare quegli animi insensibili all’uguaglianza della specie, ricordando loro che l’amore non è stimolato dai pori della pelle ma molto più realisticamente nasce e si consolida dall’animo e nell’animo. E se questo l’hanno capito un regista e un produttore, perché non deve concepirlo il fruitore di questo o quel Continente? Sovente ci macchiamo di presunzione e dispotismo e non ci accorgiamo che sono sempre le differenze ad allontanare i popoli. E, a mio modesto parere, il fatto che gli uomini non imparino dalla storia (e tanto meno da una proposta cinematografica di buon senso), è tra le lezioni più importanti che la storia ci possa insegnare.