CONOSCERE IL FEGATO, LA PIÙ GRANDE GHIANDOLA DELL’ORGANISMO UMANO CHE PUÒ RIGENERARSI ED ESSERE TRAPIANTATA
L’importanza della cultura per meglio gestire le nostre abitudini alimentari e comportamentali, compreso un adeguato stile di vita
di Ernesto Bodini (giornalista scientifico)
Quanti di noi conoscono il proprio corpo e le funzioni degli organi più importanti senza essere necessariamente medici? Ed è così utile e importante avere qualche nozione in merito? Io credo di sì, e per questo vale la pena parlarne. Uno degli organi più importanti oltre il cuore, il cervello, i polmoni e i reni e la tiroide naturalmente, è il fegato che è tra i più complessi tanto che non finisce mai di sorprenderci, e lo si può paragonare ad una sorta di laboratorio del nostro organismo, tanto che al suo seguito troviamo le tracce delle nostre abitudini alimentari (cibi e bevande, ma anche l’uso di determinati farmaci) e preannunciando la vulnerabilità del nostro corpo nel contrarre patologie future. Insomma, una grande fabbrica biochimica in cui tutto avviene a livello molecolare attraverso una serie di reazioni per trasformazioni molto sofisticate. Questo organo è definito la ghiandola più voluminosa del nostro organismo (pesa circa un chilo e mezzo ed ha un diametro di circa 24-28 centimetri), situata nella parte alta a destra dell’addome, subito sotto il diaframma, ed esplica complesse funzioni organiche. Ha un’attività sia di tipo metabolico (produce energia trasformando ciò che viene assunto dall’alimentazione), sia perché serve alla disintossicazione e all’eliminazione delle sostanze tossiche tanto alimentari quanto farmacologiche. Ma cosa succede quando si verifica un malfunzionamento del fegato, e quali sono i segnali? Sono molto importanti e molto spesso aspecifici (non sempre identificabili), ma nelle forme acute, ad esempio, la sintomatologia nel paziente è data dalla stanchezza, febbre, colorito giallo della cute, urine molto scure che possono rappresentare un quadro di epatite virale acuta; il più delle volte, invece, i sintomi sono sfumati (appena percettibili): una leggera astenia, difficoltà “strana” nella digestione. Diverso è quando il fegato è molto ammalato in quanto compaiono dei sintomi molto evidenti, come il gonfiore della pancia (ascite) e degli arti inferiori per l’accumulo di liquidi. Il primo comportamento a rischio, come spiegano ogni volta tutti i clinici (epatologi in particolare), è come ci alimentiamo: dobbiamo evitare l’abuso del cibo perché l’aumento del peso si correla molto spesso con un danno al fegato. Inoltre, non abusare dell’alcol in quanto lo metabolizziamo a livello di questa importante ghiandola, lo trasformiamo per poter evitare che procuri danni agli altri organi. Ma il fegato ha un limite della sua capacità di smaltirlo, per cui l’abuso di alcol lo ammala. Altri comportamenti a rischio sono quelli cosiddetti sociali, ossia il contrarre un’infezione virale per un rapporto di tipo non protetto: farmaci tossici, piercing, siringhe infette, trasfusioni, tossicodipendenze, etc.
Dal punto di vista medico-letterario questo organo ha pure tracce storiche in quanto nel passato veniva considerato sede di sentimenti e passioni per i Greci, mentre secondo Etruschi e Romani il fegato di animali era la chiave per interpretare il volere degli dei riguardo al futuro. Questa scarna notizia, e tanto altro, è data dalla recente pubblicazione Ci vuole fegato, di Antonio Moschetta (professore ordinario di Medicina Interna all’Università Aldo Moro di Bari), edito da Mondadori, pagg. 156, € 17,00. L’autore, che tra l’altro è stato allievo del premio Nobel Al Gilman presso l’Howard Hughes Medical Institute di Dallas (Texas) dal 2012 al 2015, e titolare del progetto di ricerca AIRC su metabolismo dei tumori e regolazione genica, spiega che grazie allo studio della bile, ad esempio, abbiamo oggi una nuova visione dell’apparato gastroenterico, animato da un fitto scambio di segnali che ci consente di valutare fegato e intestino non più come entità a sé stanti, ma come unico organo. «Oggi, per fortuna, grazie al progresso tecnologico – precisa il medico-scrittore –, abbiamo a disposizione strumenti che ci offrono la speranza di sconfiggere patologie come le epatiti con la prevenzione, procedure all’avanguardia e personalizzazione delle cure… oltre che a prenderci cura di noi stessi». Il fegato, oltre ad avere la proprietà di rigenerarsi dopo un’infezione come l’epatite e un intervento chirurgico, è un organo che si può trapiantare, parzialmente o integralmente: il primo trapianto dell’intero organo al mondo venne eseguito nel 1967 dal prof. Thoms E. Starzl (1926-2017), a Denver nel Colorado; mentre in Italia il primo venne eseguito qualche anno più tardi e precisamente nel 1982 a Roma dal prof. Raffaello Cortesini (1931). In Italia al 31 dicembre 2019 l’attività di trapianto riguardava 9.543 organi, di cui 3.370 di fegato. Tra le curiosità in fatto di benessere, il consumo di caffè pare che riduca il rischio di morire per malattie a carico del fegato, ciò è quanto è stato scoperto da un team dell’Università di Melbourne (Australia) che, analizzando un database del 2016, ha inteso dimostrare che in quell’anno se tutte le persone nel mondo avessero bevuto almeno due tazze di caffè al giorno, ci sarebbero stati 450 mila morti in meno per malattie del fegato; se ne avessero bevute quattro, i morti risparmiati sarebbero stati 720 mila. Nonostante questa notizia “confortante”, sul versante dell’epatologia altre sfide ancora ci attendono e, per affrontarle (manco a dirlo), ci vuole fegato!