Continua la “saga” del riconoscimento degli eroi
di Ernesto Bodini
(giornalista scientifico – opinionista)
Credo che ci si debba mettere d’accordo: vogliamo un mondo di “eroi” con tanto di riconoscimenti ufficiali, e magari con tanto di medaglia e/o pergamena recante il titolo di Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica, Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica, Commendatore dell’Ordine al Merito della Repubblica od altro simile; oppure scegliere la strada della sobrietà rendendoci conto che, come ho avuto modo di affermare in più occasioni, non esiste l’eroe dell’azione ma solo quello della rinuncia e della sofferenza?
Anche quest’anno, il 12 scorso l’ANSA titolava: “Mattarella, 40 onorificenze per atti di eroismo civile. Militari espressione di Paese coeso”; iniziativa motivata dalla Giornata dedicata al ricordo dei caduti militari e civili nelle missioni internazionali per la pace, nel 13° anniversario della strage di Nassirya. Va da sé che ricordare fatti e circostanze che hanno coinvolto i nostri simili che hanno perso la vita o sono stati gravemente feriti nel corso del loro dovere è un atto doveroso in onore alla memoria di chi è deceduto e nel rispetto dei sopravvissuti e dei loro famigliari, se non anche delle Istituzioni civili e militari che hanno servito in difesa della Patria e della libertà dei popoli più oppressi. Ma va anche detto che parte di questi “arditi” uomini di valore si sono dedicati per scelta, e in taluni casi peraltro anche retribuiti in quanto dipendenti delle Istituzioni. Tale argomento, proprio perché particolarmente delicato, andrebbe meglio “soppesato” prima di decretare “eroe” questo o quell’operatore militare o civile, giacché una buona azione volta al benessere fisico e/o psicofisico verso il prossimo bisognoso potenzialmente saremmo in grado di compierla tutti noi.
Per questa ragione, ed anche per una considerazione concettualmente più razionale ed obiettiva in realtà non ha ragione di esistere il concetto di eroismo; per contro, se si vuole evidenziare e prendere ad esempio quel “buon agire” umanitario da parte di questo o quell’individuo, ritengo che abbia più “valore” citarne semplicemente le gesta facendo semplicemente comprendere la buona azione in quanto dovere civile e cristiano, con l’accortezza di “confondersi” poi tra i comuni mortali. Ritengo altresì doveroso aggiungere che personalmente anch’io ho dei “limiti” in fatto di umana solidarietà, ed anch’io pecco di quel sia pur modesto ma innocente “protagonismo” di cui la Natura non mi ha risparmiato…, e che quindi sta a me correggermi e rifuggire il più possibile da ogni ambizione dai toni enfatici, e magari coronata da un riconoscimento istituzionale con tanto di pergamena e/o medaglia da divulgare ai quattro venti… Questo mio proponimento spero di perseguirlo sino a vederne la concretezza, e non mi si perdoni se il peccato sarà l’incoerenza aggravata dalla retorica, dall’ipocrisia e da quanto altro. Un impegno che a sostegno richiama un detto più che mai attuale: «I cosiddetti simboli della condizione sociale sono medaglie che ti compri». Del resto, al mondo non interessano le tempeste che abbiamo incontrato, ma soltanto se abbiamo condotto in porto la nave. E si ci siamo riusciti, il risultato è il miglior riconoscimento!