“Cronaca di una morte annunciata” di Marquez, in sardo. Ne parla l’autore nell’intervista di Veronica Atzei
Si è svolto sabato scorso a Sardara (Medio Campidano) il secondo appuntamento dedicato alla letteratura sarda, organizzato dalla Pro Loco all’interno della manifestazione Tres lìburus po s’istadi sardaresa (Tre libri per l’estate sardarese). Il libro presentato è la traduzione in sardo di Ivo Murgia di Crónica de una muerte annunciada, romanzo di Gabriel Garcia Márquez. Márquez non ha bisogno di presentazioni, è uno dei più grandi scrittori della letteratura contemporanea, premio nobel nel 1982, autore di romanzi celebri e amatissimi dal pubblico. Scrisse Crónica de una muerte annunciada nel 1981 e nell’anno successivo ricevette il premio nobel: Cronaca non è il più famoso dei suoi romanzi, ma è un grande capolavoro. Racconta la storia della morte, annunciata appunto, di Santiago Nasar, un giovane di un paese della Colombia, accusato di aver disonorato una ragazza, Angela Vicario. Il marito di Angela, Bayardo San Roman, riporta sua moglie a casa la prima notte di nozze, dopo essersi accorto che non era più vergine. I fratelli di Angela decidono di vendicare l’onore della sorella, e le chiedono un nome. Appena lei pronuncia quelle due parole: “Santiago Nasar”, i due, macellai, si armano di coltelli, e dopo aver scolato due bottiglie di acquavite, cercano Santiago per ucciderlo, annunciando a tutti le loro intenzioni. Tutti in paese sanno che i fratelli Vicario vogliono uccidere Santiago, ma nessuno riesce a fermare gli eventi.
In Italia il romanzo piacque così tanto che Francesco Rosi ne trasse, nel 1987, un film con Ornella Muti e Rupert Everett.
Crónica de una muerte annunciada è stato tradotto in sardo nel 2005 da un giovane cagliaritano, Ivo Murgia, laureato in Psicologia e con un Master sulla didattica del sardo, entrambi conseguiti presso l’Università degli Studi di Cagliari. E’ un operatore culturale che da diversi anni si occupa di progetti relativi alla lingua sarda. Ha lavorato per tre anni al comune di Quartu, settore cultura, e ha collaborato con scuole, enti pubblici e privati. Scrive per i giornali ‘Sa Republica Sarda’, ‘Sardinna’, ‘La Patrie dal Friûl’ e ‘Superga Cinema’. E’ on line col suo blog personale (www.ivomurgia.splinder.com), interamente in sardo, dal marzo del 2006. Ha condotto, per due stagioni, il programma radiofonico ‘Su primu tocu’ a Radio Press, di Cagliari, con Paolo Zedda e Riccardo Pittau. Ha pubblicato sino ad oggi 8 libri, altri due sono in preparazione; possiamo ricordare oltre a ‘Crònaca de una morti annuntziada’, con Condaghes, ‘Contus Africanus’, con Alfa Editrice. E’ anche autore di racconti in lingua sarda premiati nei più prestigiosi premi letterari isolani. Suoi racconti sono stati tradotti in galego e tedesco, inoltre da ‘Crònaca’ è stato tratto uno spettacolo teatrale di Antonella Puddu e Riccardo Pittau. Oggi continua ad occuparsi di svariati progetti sulla lingua sarda.
Abbiamo il piacere di porre qualche domanda al traduttore.
Perché tradurre un’opera di letteratura straniera in sardo?
La risposta che do sempre a questa domanda è che il sardo è una lingua normale. In tutte le lingue ‘normali’ si fanno le traduzioni e quindi dato che il sardo è una lingua normale è anche normale fare le traduzioni in sardo. D’altronde nessuno si è mai chiesto perché si fanno le traduzioni in italiano e non si leggono i romanzi in lingua originale, a tutti sembra perfettamente logico che si traduca. In Italia tutto viene sistematicamente tradotto in italiano, dai film alla pubblicità, e nessuno hai mai storto il naso. Naturalmente fare una traduzione significa portare la lingua sarda a confrontarsi con modelli di letteratura diversi dai suoi, a mettersi in gioco coi suoi registri e le sue potenzialità narrative, per dimostrare di saper rendere nei suoi codici, nel suo modo peculiare di raccontare, anche la scrittura di un grande premio Nobel.
Come mai hai deciso di tradurre Crónica de una muerte annunciada?
Quando ho iniziato questo lavoro, qualche anno fa, in Europa erano molto di moda gli autori sudamericani, allora potrei dirti che sull’onda di quella invasione letteraria, ho deciso di tradurre Márquez in sardo. In realtà non è stato così ed è successo tutto per caso. Avevo il libro in casa nella versione italiana, l’avevo già letto e ne conoscevo lo spessore letterario, inoltre, vantaggio non da poco, si tratta un testo molto breve per quanto intenso. Quindi ho deciso di provarci, ho reperito una copia dell’originale in castigliano e ho iniziato a lavorare. È un lavoro che è durato circa un anno, contando forse due mesi per la prima stesura e altri dieci per le varie revisioni! Ho anche avuto l’aiuto di alcuni amici esperti di sardo e di castigliano che ringrazio.
Quali sono le difficoltà che hai incontrato nel tuo lavoro di traduzione?
Le difficoltà che ho incontrato sono quelle di tutti i lavori di traduzione. La traduzione è un esercizio molto difficile non sarà certo un caso che in italiano si dice ‘traduttore, traditore’. Come sappiamo ogni lingua ha un suo modo peculiare di raccontare e quindi il raccontare ‘a sa sarda’ non è il raccontare del castigliano della Colombia o dello stile personale di Márquez. Il lavoro di un traduttore non sta certo nel fare una traduzione parola per parola, che sarebbe un lavoro povero e svilente sia per la lingua di partenza che per la lingua d’arrivo, è invece una doppia sfida, il cercare di muoversi in un doppio rispetto che non mortifichi nessuna delle due lingue e che dia conto della loro ricchezza espressiva. Io dico che l’ideale sarebbe fare una traduzione ‘a concetto’, partendo da quello espresso nella lingua originale e ripensandolo e riformulandolo nella lingua di arrivo, il sardo nel mio caso. Certo così il lavoro è molto più lento e faticoso ma mi sembra l’unica via per una buona riuscita. Se ho fatto bene il mio lavoro allora, da questa traduzione Márquez non dovrebbe risultare tradito nella sua scrittura originale e però si dovrebbe anche sentire un’anima sarda del raccontare, che dovrebbe essere appunto la mia parte.
Pensi che un traduttore debba essere anche un bravo scrittore?
Il mio amico Xavier Frías Conde, linguista e scrittore galego ma attivo anche in altre lingue, ha scritto nella presentazione che un buon traduttore non deve solo conoscere le lingue ma avere anche talento letterario. Istintivamente sarei portato ad essere d’accordo con lui e di sicuro mi parrebbe un grave delitto non riuscire a rendere un livello di scrittura così alto, come quello di ‘Crònaca’, banalizzandolo e sminuendolo. Certo, García Márquez è García Márquez e Ivo Murgia è Ivo Murgia… ma l’aspirazione dovrebbe essere quella. E’ capitato però qualche giorno fa, di ragionare di queste questioni con un amico, che è in realtà uno storico, e mi diceva che secondo lui invece è un male che il traduttore sia anche uno scrittore professionista, perché è sempre forte la tentazione di riscrivere l’opera secondo i propri canoni estetici. Non avevo mai visto la traduzione sotto questa prospettiva e mi ha dato da pensare. Non ho ancora risolto i miei dubbi ma potrai renderti conto di quante questioni entrino in ballo nel lavoro di traduzione.
Le traduzioni fanno bene al sardo?
Le traduzioni fanno bene al sardo sicuramente. Come dicevamo prima, permettono un confronto con le altre letterature e contribuiscono a creare un modello di narrativa possibile in lingua sarda, che in questi anni sta conoscendo un momento molto fecondo, con buone produzioni e impegno di tanti. Inoltre come è capitato in questo caso, possono contribuire a dare una certa visibilità a questo mondo sommerso, se io avessi pubblicato un mio romanzo invece che la traduzione di un autore conosciuto in tutto il mondo, oggi forse non saremmo qui. Ben lungi da me comunque l’idea di scoraggiare la produzione originale in lingua sarda! Io stesso sono un autore, un blogger e un operatore culturale che utilizza il sardo in diversi campi della comunicazione e della letteratura, ne sono quindi pienamente consapevole e coinvolto. Incoraggio sempre chi se la senta a sperimentare la scrittura in sardo o a parlare in sardo, come un’esperienza entusiasmante e arricchente, moderna e di apertura, sicuramente non passatista e melanconicamente nostalgica ma, ripeto, un’avventura da vivere nel contesto del mondo di oggi in un’ottica di confronto e di scambio, di crescita in ultima analisi.
Veronica Atzei
Grazie dell’ospitalità!
A si biri – Arrivederci