Dedicato a mamma: una lettrice racconta – 4^ parte

Maggio è il mese delle rose, per i cattolici è pure il mese della Madonna e per il nostro giornale è stato anche il mese della Mamma. A partire dalla festa in onore di questa figura così importante, ogni domenica vi abbiamo infatti proposto una puntata del racconto autobiografico che Rita, una nostra lettrice, ci ha inviato e che rappresenta un bellissimo atto d’amore nei confronti della propria madre.

Vi lasciamo dunque alla lettura delle ultime righe, con la speranza che questa testimonianza di vita vissuta regali a voi le stesse emozioni che ha donato a noi e doni coraggio a tutte le donne che vivono o hanno vissuto situazioni simili a quelle raccontate.

Tutta la redazione ringrazia di cuore Rita per aver voluto condividere con altre persone queste pagine tanto intime.

(segue)

Quando mi stancavo di giocare da sola, andavo dagli altri bambini fuori nella strada. Dividevamo insieme uno spazio sotto un grande albero di fico, vicino a casa, e mi piaceva molto se c’erano i maschietti perché i giochi erano sempre nuovi; con una foglia di fico e alcuni legnetti riuscivamo a fare un carrettino che poi riempivamo di pietre, oppure con cinque ciottoli più uno ci sfidavamo a chi era più abile a fare punti.

«Rita dove sei? Rita vieni qui!». Appena sentivano la voce di zia, i maschietti scappavano, altrimenti erano guai: infatti non era conveniente che i maschi giocassero con le bambine. Erano susse a più non posso. Avevo una compagna di giochi che si chiamava Elena, aveva due trecce brune e due occhi neri; dividevo con lei tutto: il pane, le sgridate, le confidenze, i bisticci. Però lei mi sapeva ascoltare, naturalmente mi sgridava e qualche volta mi mandava via quando facevo tardi, comunque mi cercava e bastava che mi chiamasse dall’orto e io andavo. Ecco, era forse la sorella che volevo. La invidiavo perché aveva due sorelle, le prendeva per mano, le accudiva, le pettinava, le proteggeva. Non si lasciava mai andare, ma sapevo che potevo contare su di lei, sempre. Se a casa succedeva qualcosa e nonno alzava la voce o le mani su mia madre, io scappavo a casa sua e lì tutto passava, ero al sicuro, non mi poteva succedere niente di male, era come un rifugio confortevole, accogliente e caldo. In casa mi sentivo braccata, nonno Antonio si comportava da padrone, urlava, bestemmiava, comandava a bacchetta: il pranzo doveva essere pronto per mezzogiorno, non aveva pazienza. Tutti dovevano essere a sua disposizione. Quella che soccombeva sempre era mia madre. A lei toccavano i lavori più umili in casa e, come non bastasse, doveva andare anche in campagna. Non le davano un attimo di tregua: nonno era terribile se si rivoltava, alzava le mani. «Rosa, pesadindi ch’è tradu, movidindi e bessinci a boddì obia!». (“Rosa, alzati che è tardi, muoviti ed esci a raccogliere le olive!”). Quando non usciva presto, mamma mi portava: io ero felice, potevamo stare insieme, godevo della sua compagnia e stavo bene, mamma si trasformava, era diversa, cantavamo, lei aveva una bella voce intonata e sapeva tante canzonette. Se c’era molto da fare all’uliveto, portava il pane, il formaggio e la salsiccia e a mezzogiorno, dopo aver fatto il fuoco, con uno spiedo di legno improvvisato infilzava il formaggio e la salsiccia e li arrostiva. Credo di non aver mangiato mai più così saporito! Ma la cosa che mi rendeva più felice era che mi faceva cavalcare l’asino quando non era carico e Paolino faceva il bravo, sentiva la mano di mamma e mi portava, altrimenti dava di dietro e disarcionava. Qual è la parola giusta per descrivere quello che provo per te, mamma? Quando ti vedo, mi assale un’infinita tristezza. Sei diventata diafana, sei un uccellino senza ali, non mi parli più, io ho bisogno della tua memoria per costruire il nostro passato: ora sei stanca, mamma, il tuo lavoro è finito, il tuo viso sereno e la tua compostezza mi strappano il cuore. Hai subito umiliazioni, percosse, urla, rifiuti, prese in giro, perché potessi diventare grande, frequentare la scuola, perché potessi essere educata, potessi camminare a testa alta. Grazie mamma, grazie di cuore. Sarai sempre nei miei passi, con me, dovunque.

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