DIRITTI DISATTESI IN OGNI AMBITO DELLA P.A. SOPRATTUTTO IN SANITÀ

Non c’è istruzione o cultura che tenga se Istituzioni e cittadini non usano lo stesso lessico. Evidentemente uguaglianza e trasparenza non sono obiettivi comuni… ma i burocrati (specie se parlamentari) continuano a fregiarsi del titolo di “Onorevole”

di Ernesto Bodini (giornalista e opinionista)

Pur considerando le attuali e gravi crisi che stiamo attraversando, non si possono disattendere le difficoltà che i nostri connazionali devono affrontare ogni giorno (o quasi), in qualsiasi ambito della Pubblica Amministrazione (P.A.). Ciò che impedisce il corretto, trasparente, competente ed onesto svolgimento dei rapporti tra Istituzioni e cittadini, a mio avviso (come da sempre sostengo) è il cancro della burocrazia, aggravata dalla diversità di dialogo tra le parti: incomprensioni che si sommano ogni giorno e un po’ ovunque, e ciò non solo per i diversi gradi di istruzione e cultura, ma anche perché talvolta il lessico dei dipendenti pubblici non viene recepito dal cittadino-fruitore, che da sempre accusa il perdurare del cosiddetto “burocratese” infarcito inevitabilmente dal “politichese” a sua volta spesso non privo di retorica… Un fenomeno che, nonostante i diversi mezzi di comunicazione (un tempo assai esigui, oltre alla percentuale di analfabetismo: circa il 38% nel dopoguerra), tende a rendere più ostica la comprensione di una norma o di una procedura, peraltro a volte di soggettiva interpretazione. Si prenda ad esempio il comparto sanitario: per quanto siano garantite molte prestazioni, visite ed esami strumentali, non tutte le Asl di gran parte delle Regioni, applicano gli stessi criteri e modalità per poterle fruire, comprese le tempistiche di esecuzione con particolare riferimento a quelle relative alle invalidità. Ancora oggi permane una certa difficoltà nell’interpretare il Piano Nazionale di Governo delle Liste di Attesa (PNGLA) che, come è noto, è relativo alla classificazione nazionale delle classi di priorità, l’individuazione delle prestazioni ambulatoriali e le condizioni cliniche specifiche, ossia Urgente (U): prestazione da eseguire entro 72 ore, Breve (B): prestazione da eseguire entro 10 giorni, Differita (D): da eseguire entro 30 giorni per le visite ed entro 60 giorni per gli accertamenti specialistici; Programmata (P): da eseguire senza priorità (e comunque entro 4-6 mesi). Ma in particolare vorrei far notare che è oggetto di diversa interpretazione ed applicazione il criterio di urgenza (U) per ottenere una visita specialistica o un esame diagnostico-strumentale: da una parte c’è chi sostiene che spetta al medico di famiglia stabilire tale criterio ed emettere la relativa prescrizione (che vale tanto per l’ospedale quanto per il territorio), dall’altra c’è chi sostiene che il criterio di Urgenza non dovrebbe sussitere. Ma la ratio vuole che la prescrizione di urgenza (peraltro suggerita anche dallo specialista ospedaliero) nel caso di una visita di controllo entro 72 ore, è giustificata dall’aggravarsi della patologia in corso o dei sintomi della stessa, mentre va da sé che il ricorso al Pronto Soccorso è motivato da una fase acuta del male (oltre ad un eventuale trauma), che richiede appunto le prestazioni immediate del caso… diversamente non ci sarebbe ragione di ricorrere al P.S. Da queste diverse interpretazioni nascono quei disagi (ancora prima dell’evento pandemico) che molte persone non sono in grado di affrontare, e le conseguenze si possono immaginare: si pensi ad esempio nei confronti degli anziani e dei disabili gravi. Ora mi chiedo: ma è mai possibile che una associazione di volontariato, od altri esperti di buona volontà, non si dedichino a dipanare questa matassa? Sindacati e associazioni solitamente amano radunare le folle in piazza, dove si dice di tutto e di più ma nessun suggerimento viene dato su come affrontare e superare la burocrazia, almeno per gli aspetti più comuni e quotidiani. Stando così le cose ci sarebbe da dedurre che non saprebbero da che parte cominciare… e non mi sembra sia necessaria una laurea a tal proposito, perché a mio avviso sarebbe sufficiente essere aggiornati su norme e procedure in vigore, e una costante determinazione per interpretarle e farle rispettare; ma purtroppo il cittadino medio non ha questa cultura d’ azione… È sempre troppo facile parlare da un palco e attirare l’attenzione su di sé, molto più impegnativo, invece,  è “erudire” la popolazione su come agire al meglio per ottenere il rispetto di un diritto, e ciò non viene fatto, in quanto spesso prevalgono incompetenze e qualunquismo da parte di molti politici e relativi movimenti associativi, e il cittadino (suddito), sempre più indifeso, in non pochi casi è lasciato solo a sé stesso, per la cui verifica basterebbe seguire da vicino questi casi. Ma poi vi è anche un altro aspetto che è quello del cosiddetto “timor riverenziale” verso la Pubblica Autorità (specie se in divisa), i cui componenti politici amano ancora farsi chiamare “onorevoli”: atteggiamenti che oggi non hanno più ragione d’esistere…

A questo riguardo rammento sempre che bisogna risalire all’epoca dell’Unità d’Italia (con inizio dal 1848), in quanto Camillo Benso conte di Cavour (nella foto) ritenne di riconoscere a tutti i deputati il titolo di “Onorevole”, non potendo estendere ai borghesi i titoli nobiliari, e ciò, nonostante tale titolo non esistesse in nessun altro Parlamento del mondo. E fu così che da allora di tale appellativo si fregiarono i nostri parlamentari per oltre ottant’anni, ossia fino al 1939. Da qui in poi (siamo in piena era fascista) Achille Starace (1889-1945), segretario del Partito Nazionale Fascista, decise di abolirlo con quello che veniva definito Foglio d’Ordini n. 1277 del 4 marzo 1939, e di sostituirlo con il titolo di “Consigliere nazionale”. Dopo la caduta del Fascismo, e la nascita della Repubblica, i deputati “democratici” hanno ripreso a fregiarsi di questo “inappropriato” titolo… con la compiacenza dei mass media. Quindi, i problemi della semplificazione e della sudditanza sono ancora un ostacolo da superare, e lo saranno ancora nel tempo perché non era questo l’obiettivo dell’Unità nazionale: tutti uguali, con e senza divisa, istruiti e non, ricchi e poveri, nobili e non, ma che nella realtà tali differenze talvolta compromettono la salute e la vita dei cittadini. E se è vero che la Legge non ammette ignoranza, è però altrettanto vero che proprio grazie all’ignoranza non si è né competitivi e né di esempio per altri. In buona sostanza, siamo o non siamo tutti uguali, ossia figli dello stesso Dio senza distinzione alcuna? Sicuramente non per taluni che credono di detenere un potere (peraltro effimero), ma nel contempo non sanno o non vogliono sapere che a fine esistenza si ritorcerà loro contro…! Quindi, non rimane altro che erudirci di volta in volta, e soccorrere i più deboli, se non si vuol soccombere ed essere confinati nel limbo dei diseredati… Un’ultima osservazione: ora che, oltre ai consueti immigrati, l’Italia vorrà ospitare parte della popolazione ucraina, la burocrazia dovrà ridursi al minimo per non “infierire” sulla loro dignità e diritti di profughi, che vanno ad aggiungersi ai circa 248 mila attualmente residenti.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *