Diritto al lavoro ma soprattutto rispetto della dignità di tutti
di Ernesto Bodini
(giornalista e opinionista)
Da tempo ormai memorabile si va ripetendo che il lavoro è un diritto di tutti, disabili compresi, peraltro sancito anche dalla Costituzione che, ricordiamolo, testualmente recita: “Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale. I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria. Gli inabili ed i minorati hanno diritto all’educazione e all’avviamento professionale. Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato. L’assistenza privata è libera”. Per quanto riguarda i cittadini invalidi, o comunque inabili, e quindi a loro tutela, il primo passo legislativo riguardava la legge 482 del 2/4/1968, ovvero: “Disciplina generale delle assunzioni obbligatorie presso le pubbliche amministrazioni e le aziende private”. Ho scritto riguardava in quanto tale disposizione è stata “superata” dalla legge n. 68 del 12/3/1999, ovvero: “Norme per il diritto al lavoro dei disabili”. Scorrendo gli articoli da 1- 23, mi sembra di recepire che tale legge rappresenti una maggior tutela per gli aventi diritto, con l’estensione ad alcune agevolazioni per i datori di lavoro che intendono (o sono tenuti) ad assumere un numero percentuale di persone invalide secondo i requisiti citati nella presente legge, con l’accortezza di rilevare i numerosi riferimenti (aggiornamenti) e rimandi a leggi e norme precedenti. Ben vengano anche le disposizioni (di cui all’art. 2) relative al cosiddetto “collocamento mirato”, ossia quella serie di strumenti tecnici e di supporto che permettono di valutare adeguatamente le persone con disabilità nelle loro capacità lavorative e di inserirle nel posto adatto, attraverso analisi di posti di lavoro, forme di sostegno, azioni positive e soluzioni dei problemi connessi con gli ambienti, gli strumenti e le relazioni interpersonali sui luoghi quotidiani di lavoro e di relazione. In questo contesto dovrebbe ancora valere la Sentenza della Corte Costituzionale n. 50 del 31/1/1990, dalla quale si rileva testualmente “l’illegittimità costituzionale dell’art. 5 della legge 2 aprile 1968, n. 482 (Disciplina generale delle assunzioni obbligatorie presso le pubbliche amministrazioni e le aziende private) nella parte in cui non considera, ai fini della legge stessa, invalidi civili anche gli affetti da minorazione psichica, i quali abbiano una capacità lavorativa che ne consente il proficuo impiego in mansioni compatibili; dichiara d’ufficio, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l’illegittimità costituzionale dell’art. 20 della legge 2 aprile 1968, n. 482 (disciplina generale delle assunzioni obbligatorie presso le pubbliche Amministrazioni e le aziende private) nella parte in cui in ordine agli accertamenti medici non prevede anche i minorati psichici, agli effetti della valutazione concreta di compatibilità dello stato del soggetto con le mansioni a lui affidate all’atto dell’assunzione o successivamente, da disporsi a cura del Collegio sanitario ivi previsti ed integrato con un componente specialista nelle discipline neurologiche o psichiatriche”. In parole semplici, anche i disabili psichici, compatibilmente con le loro capacità residue, hanno diritto ad una collocazione obbligatoria, e quindi ad un posto di lavoro. Ma a questo riguardo, mi domando: «Quale azienda privata italiana è così umana, razionale, democratica e quindi dotata di senso civico da assumere una persona affetta dalla sindrome down, piuttosto che una persona affetta da disturbi psichici di altra natura?». Inoltre, c’è da tener presente che da circa un decennio il nostro Paese soffre della ormai nota spending review e di crisi di vario genere, incluso l’inesauribile problema della immigrazione tanto da non rispondere adeguatamente al concetto di domanda-offerta e, gli attuali circa 3 milioni di disoccupati ne testimoniano il dramma… senza scadenza. Ma non basta. Quando tutti questi disoccupati, invalidi compresi, giungeranno all’età pensionabile come potranno sopravvivere senza una pensione non avendo potuto versare contributi in quanto disoccupati (o parzialmente occupati) per anni? Di questa ultima preoccupazione non ne sento parlare nei vari talk show e dibattiti pubblici vari e, per quanto riguarda i disabili in particolare, la preoccupazione dei loro familiari “uniti” nell’ormai noto movimento del “dopo di noi” c’é veramente da rattristarsi (mi si perdoni l’eufemismo), tant’é che viene da porsi un’altra domanda: «A che serve legiferare, dopo non pochi scontri in Parlamento e sulle piazze, se non si può concretizzare una disposizione di legge conseguente agli orientamenti della Costituzione come il diritto al lavoro e alla tutela della salute?». Questa “anomia” legislativa, a mio avviso, va di pari passo con un grave senso di irresponsabilità e di inciviltà, e a poco (o nulla) servono i movimenti associativi di sensibilizzazione se non si riesce a far rispettare leggi e decreti…
Di questo passo, se mettiamo anche in conto che fra non molto la nostra sanità diventerà totalmente privata, andremo incontro ad ulteriori difficoltà esistenziali per la maggior parte della popolazione, il tutto aggravato dal fatto che la nostra nazione, secondo una classifica del Fondo Monetario Internazionale (FMI), come riporta una nota del sito Huffpost (Gruppo Espresso) del 10 luglio scorso, il debito pubblico italiano è attualmente pari a 2.400 miliardi di dollari: il terzo più elevato dopo Stati Uniti e Giappone. E siamo al secondo posto al mondo per rapporto tra debito pubblico e Pil, al 132%. E questo cosa significa? Che circa un euro su venti di ricchezza prodotta all’anno non è disponibile per la spesa, ma è impegnata per pagare i creditori dello Stato. Ora, se i problemi di sopravvivenza ad una crisi riguardano l’intero Paese, ben più grave è la realtà che coinvolge i meni abbienti e le cosiddette “fasce deboli” che, detto a tutto tondo, sono sprovvisti di ogni mezzo necessario per difendersi all’occorrenza… A questo riguardo sarebbe utile che il Volontariato rappresentato da una miriade di sigle, reimpostasse tout court la propria mission dedicando ogni risorsa alla difesa dei disabili e di quanti si trovino in condizione di sostegno di fronte alle Istituzioni. Utopia? Forse, ma sta di fatto che se non si prende in considerazione un’ipotesi come questa, a mio modesto parere, andremo incontro all’effetto delle scatole cinesi al contrario: un continente che vorrà entrare in una nazione… Un peso che equivale alla zampa di un elefante sopra un moscerino. E poiché da decenni siamo governati più da politicanti che da politici, lungimirante (e quindi assai attuale) era l’affermazione di G.B. Shaw (1856-1950), il quale sosteneva che «non c’è alcun membro del nostro Parlamento che non sia idiota almeno per un’ora al giorno. La saggezza consiste nel non superare l’ora». Vale a dire che se si è idioti non si è dei buoni Parlamentari. E se questo valeva per la Francia e altre nazioni, a maggior ragione vale anche per il nostro Paese.