DISABILI, MEDICI E OPERATORI SOCIO-SANITARI

di Ernesto Bodini (giornalista scientifico)

 

 

Le informazioni attualmente disponibili consentono, per una serie di ragioni, di riconoscere e di seguire nel tempo i tassi di incidenza e di prevalenza delle menomazioni fisiche, psichiche e sensoriali che si manifestano in una determinata popolazione o in un dato territorio. E questo, gazie alle Reti di informazione sia da parte degli operatori socio-sanitari preposti che ai non pochi mezzi di comunicazione telematica e cartacea. Ma va sottolineato che quanto più si accentua l’attenzione per i problemi sociali connessi o conseguenti alle evenienze minoranti e inabilitanti, tanto più necessaria diventa invece una conoscenza esatta sulla frequenza, localizzazione e dinamica di tali fenomeni ed è in considerazione di queste caratteristiche che devono attivarsi gli interventi preventivi, curativi ed ogni utile sostegno alla persona disabile e svantaggiata. Ma viene ora spontaneo porre alcuni interrogativi. Nella formazione del personale medico-sanitario si tiene conto, ad esempio, del fenomeno dell’handicap e dei suoi riflessi sanitari e sociali? E qual è la figura preposta a parlare agli studenti di Medicina e ai futuri infermieri del problema dell’handicap? Ed ancora. Chi meglio può capire lo stato d’animo e le esigenze di queste persone che spesso hanno serie difficoltà nell’uso del proprio corpo, ma conservano intatta la loro dignità, anche se a volte è calpestata dall’indifferenza e soprattutto dall’ignoranza di chi si ritiene privo di una qualunque menomazione?

 

È di questi giorni, ad esempio, il caso di una famiglia (nella foto) che vive in Irlanda e che per motivi di lavoro era intenzionata a trasferirsi in Nuova Zelanda, ma ha dovuto rifiutare (in attesa di “rivalutazione” della circostanza che ne ha impedito il fine di tale esigenza) perché la loro terzogenita affetta dalla sindrome di Down non è stata accettata dall’Ufficio Immigrazione con la motivazione: «… non dimostra un accettabile standard di salute». Realtà come queste avvengono un po’ ovunque perché la discriminazione è ancora imperante in non pochi Paesi, e non solo quelli orientali, compreso il nostro. «Oggi la Medicina non è più soltanto individuale – sosteneva alcuni anni fa un illustre cattedratico – ma anche ed in larghissima misura sociale. I bisogni sanitari (da almeno un ventennio, ndr) sono diversi da quelli di un tempo: sono molteplici e assai diversificati. Un esempio significativo di questo “gap” tra formazione e realtà socio-sanitaria è rappresentato dal problema dei soggetti disabili». È palese che tale problema riveste importanza non solo dal punto di vista sociale e umano, ma anche da quelli eziopatogenetico, morfopatologico e clinico. Vedasi, ad esempio, l’aumento della malattie rare che, ad oggi, sono circa 6.000/8.000 e la ricerca è sempre più coinvolta per individuare la loro causa e, ovviamente, anche la terapia.
Va oltremodo considearto che oltre un miliardo di persone, circa il 15% della popolazione mondiale, vive con qualche forma di disabilità, e almeno un quinto, circa 110-190 milioni di individui, è costretto ad affrontare difficoltà “molto significative” nella vita di tutti i giorni. Inoltre, le percentuali di disabilità stanno aumentando, a causa dell’invecchiamento della popolazione e dell’aumento globale delle malattie croniche. Questa la recente fotografia scattata dal primo Rapporto Mondiale sulla Disabilità, messo a punto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e Banca Mondiale. Tra i problemi più in evidenza al primo posto, quindi, la discriminazione unitamente alla mancata assistenza sanitaria e di riabilitazione, per passare poi alle barriere architettoniche: trasporti pubblici, edifici e tecnologia informativa inaccessibili. Restando nella nostra realtà, che nelle relative proporzioni c’è di che pensare, sarebbe opportuno anche in ambito sanitario attivarsi concretamente per una più diffusa cultura dell’handicap, che consenta di conoscere i problemi e i diritti di queste persone, soprattutto le loro necessità specie di tipo assistenziale. Ed è nella ricerca scientifica che i medici curanti hanno la continua occasione di essere ricondotti agli interrogativi universali dell’esistenza umana. Nei corsi universitari, secondo vari esperti, non si parla di questo problema, se non vagamente e in taluni Atenei. Vengono illustrati, magari, singoli aspetti morfologici o clinici dei vari tipi di handiacap, riferiti a determinate patologie e in ogni caso in modo specialistico, riduttivo e frammentario, senza favorire una visione globale del problema. In questo campo medici ed infermieri possono svolgere un ruolo primario, non solo perché i soggetti disabili presentano particolari problemi di salute (spesso richiedono interventi sanitari, assistenza infermieristica e specialistica: dalla fisioterapia all’oculistica, dall’intervento dell’otorinolaringoiatra a quello dell’odontoiatra, etc.) e può quindi essere di aiuto al disabile e ai suoi familiari, purchè non sia succube dell’antico preconcetto di irrecuperbilità e di ineluttabile emarginazione.

 

Tuttavia, grazie ad un mirato intervento di recupero ad opera dei sanitari e dei supporti tecnologici, non sono infatti rari i casi di disabili motori e sensoriali risolti brillantemente; mentre in altri casi le possibilità di un recupero sono talvolta scarse, nonostante siano demandate alla professionalità e paziente opera di clinici ed educatori specializzati, purtroppo numericamente insufficienti come, ad esempio, i logopedisti, i fisioterapisti e gli insegnanti di sostegno. Occorre quindi che tutti gli operatori sanitari e socio-sanitari si avvicinino di più alla persona disabile e alla sua famiglia con lo stesso spirito che anima le migliaia di volontari che assistono in modo incomparabile i disabili, contribuendo alla loro crescita psicofisica e alleviando la fatica talvolta immane della famiglia (caregiver). Occorre, ancora, far valere nelle professioni di aiuto, oltre alla preparazione tecnica, quella solidarietà che fa suoi i valori umani più alti (purtroppo di tanto in tanto emergono casi di operatori sanitari che lavorano in strutture sanitarie e assistenziali e perseguiti penalmente per maltrattamenti ai loro assistiti). Al tempo stesso mettere in azione tutti quei povvedimenti contro il vergognoso fenomeno dei falsi invalidi, che spesso avviene per connivenza con alcuni medici la cui compiacenza non solo è reato, ma è anche disonorevole per la cetegoria a cui appartengono, oltre alla umiliazione dei veri invaldi… Insomma, non dobbiamo rimnere semplici “spettatori” del dramma umano provocato da una grave menomazione, e freddi testimoni della lotta della personaltà dell’uomo sotto la raffica del dolore acuto o dell’evento cronico, ma in tale dramma abbiamo un ruolo con compiti e responsabilità che vanno oltre il campo della pura tecnica, poiché la malattia, ricordiamolo, impegna tutta la persona. Purtroppo nel nostro Paese si sta andando incontro alla penuria di medici a causa, probabilmente, di pregresse errate politiche come il numero chiuso (per lungo tempo) alle Facoltà di Medicina e conseguentemente ad alcune specializzazioni. Secondo la FIMMG (categoria dei medici di base) si tratta di una “emorragia” di 45.000 medici in 5 anni, che si determinerà in Italia per effetto dei pensionamenti e che riguarderà sia i medici di famiglia sia i medici del Servizio sanitario nazionale. Allarme ancora maggiore a 10 anni: al 2028, infatti, saranno andati in pensione 33.392 medici di base e 47.284 medici ospedalieri, per un totale di 80.676. Inoltre, pensare di “coinvolgere” le nuove generazioni di medici nell’acquisire nozioni relative all’handicap, per quanto siano motivate e supportate dalla disponibilità di strumentazioni tecnologiche sempre più sofisticate, è forse poco ipotizzabile ma allo stesso tempo è utile… se non necessario, anche perché il medico è una sentinella della vita, nonché il custode dell’uomo sano.

La seconda foto è tratta dal sito Otago Daily Times.

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