Donare: un atto mai fine a se stesso, ma espressione di altruismo e solidarietà
Riflessioni sui trapianti d’organo
di Ernesto Bodini
(giornalista scientifico)
È ormai risaputo che quella per i trapianti d’organo è una battaglia per la salvezza del corpo, vinta dalla scienza medica, chirurgica e biologica. Ma è qualcosa di più: una battaglia per la salvezza dell’anima, in parte non ancora vinta per via di perplessità fra medici ma soprattutto fra la gente comune, e forse anche fra gli stessi malati in attesa di un organo; un’attesa che se prolungata nel tempo sconfina a volte nello sconforto… Il rapporto e la consuetudine con il mondo della Medicina è per me un costante stimolo all’apprendimento e alla riflessione sui problemi esistenziali proprio perché coinvolgono persone che soffrono e hanno sempre più bisogno di cure particolari, come avviene nei trapianti d’organo. E a questo riguardo, ciò implica anche considerazioni di carattere etico, filosofico e sociale poiché il concetto del “dono” diventa inevitabile, tanto da racchiudere in sé solidarietà, altruismo, generosità; apparentemente sinonimi ma in realtà sono termini che determinano atti umani e con essi una profonda riflessione sull’uomo e sul suo essere, per creare un nuovo slancio e una visione ottimistica dell’esistenza, allontanando dai problemi materiali che invadono la vita quotidiana e distraggono da questioni importanti come quella dei malati gravi… in attesa di una cura, di un organo.
Ma quale senso dare alla scelta di chi, per ragioni filosofiche, ancestrali o semplicemente d’incertezza interiore, non condivide il gesto del dono e si esprime con argomentazioni di carattere etico? Oggi il dibattito tende sempre più in favore della donazione di organi, ma non basta perché le liste di attesa sono sempre più lunghe, o quanto meno non diminuiscono. Tra i favorevoli esistono due posizioni: chi ritiene giusto rispettare la volontà espressa in vita dal singolo e dai suoi famigliari al momento della richiesta di prelievo di un organo, chi invece pensa che il bene comune debba prevalere e, quindi, che il prelievo sia imposto de iure. Dal punto di vista psicologico non ci sono motivi razionali per opporsi alla donazione, ed è più facile essere donatori in giovane età perché la morte è vista come evento lontano. Ma esiste pure una ragione di carattere sociologico, contraria alla donazione, che si nasconde nell’affermazione: «Vivo male in questa società». Il non donare può essere inteso come un mantenimento della propria identità, una sorta di sacralità del proprio corpo. Le posizioni dei favorevoli e contrari alla donazione non sono in antitesi, in quanto l’inconscio dell’uomo (secondo Freud) non ha mai accettato di morire: gli uni e gli altri “negano” la morte. “Non donare” significa per alcuni negare la possibilità reale della morte.
In tali circostanze, secondo gli esperti, sarebbe utile riuscire ad allontanare il concetto di morte per ridurre l’angoscia, che coinvolge anche il più stoico degli esseri umani. In merito a queste riflessioni mi sovviene l’incontro a Torino (nel 1999) con Mr. Reginald Green, padre di Nicholas, il bambino californiano ucciso nel 1994 dalla malavita in Calabria, e i cui organi furono donati a sette italiani, in attesa di trapianto, tuttora viventi. Rievocando alcuni passi dell’intervista che mi ha rilasciato, alla domanda qual’era il suo pensiero sulla filosofia della solidarietà, mi rispose: «Dopo quello che è accaduto, il mio pensiero sulla solidarietà non è cambiato. Anche prima ho sempre pensato che le persone, in ogni parte del mondo, dovessero avere fiducia nell’uomo ed essere generosi verso gli altri. Tale fiducia è stata rafforzata dall’evento di cinque anni fa. E non sono mancate testimonianze di persone, da tutto il mondo, che hanno voluto confortarci. Abbiamo ricevuto poesie, lettere ed altro ancora». E alla domanda: in alcuni casi il dramma altrui è visto con indifferenza o pseudo partecipazione. Sono esempi di egoismo o, peggio, d’inciviltà? Rispose: «Di fronte al problema delle donazioni di organi, alcuni pensano che la loro scarsità sia dovuta al rispetto per il proprio corpo; altri invece non vengono “sollecitati” a chiedere informazioni e nessuno si prodiga di informarli. Vi sono anche altre ragioni che frenano le donazioni, per esempio, in ospedale e trovarsi di fronte ad una persona che, poco prima, stava bene e ora giace morta; allora l’emozione ha il sopravvento, soprattutto se si deve prendere in poco tempo una decisione così importante come quella di acconsentire (in modo irreversibile e magari senza potersi consultare) al prelievo di organi». E per chi fosse incurante o restio alla donazione di organi, fa riflettere l’espressione provocatoria di monsignor Karl Lehman (1936), cardinale e vescovo cattolico tedesco: «Nessun dono costa di meno al donatore e nessun dono offre al ricevente un beneficio maggiore».