“Donne serial killer”: la ricerca storica di Valeria Giacometti
Presentata alla libreria Mondadori di Ivrea “Donne serial killer: un mondo a parte”, frutto dell’accurata ricerca della giovane avvocato Valeria Giacometti sul crimine seriale al femminile.
di Ernesto Bodini
(giornalista scientifico)
C’e sempre più interesse, in quest’epoca di forte disagio sociale, per le materie riguardanti la criminologia e comunque tutto ciò che afferisce agli atti criminali. Del resto, la letteratura è assai ricca di saggi ed estesa narrativa, tra i quali “Donne serial killer: un mondo a parte” dell’avv. Valeria Giacometti, nota penalista eporediese, Ed. open Photocity, pagg. 340, € 12,00. Il volume è stato presentato recentemente negli spazi espositivi della libreria Mondadori di Ivrea (To), alla presenza dell’autrice e dello psicologo e criminologo Pietro Tranchitella.
Secondo l’opinione comune le donne sono sottorappresentate nelle statistiche criminologiche se si considera che nella Parigi del XV secolo rappresentavano il 30% (1980), nel XVIII secolo in Germania il 10%; in Inghilterra il 30%, così come in Baviera nel XVII secolo (1990), e il 10% in altre realtà, sino al 20% nel secolo XX (1994). Permane la convinzione che le qualità femminili nelle statistiche criminologiche siano sempre state minori e marginali, ma è proprio per questo che la questione andrebbe meglio analizzata, ossia si tratterebbe di “rivedere” il concetto culturale relativo alla capacità della donna di commettere reati criminali sino a diventare una vera e propria “serial killer”. «In questo particolare periodo socio-culturale – ha spiegato l’autrice – un momento di informazione e di riflessione consapevole è necessario per una condivisione della percezione che il crimine nei generis non viene perpetrato solo nei confronti dei minori e delle donne, ma sull’individuo come essere umano a prescindere dal sesso e dall’età. La donna serial killer esiste sin dagli albori della storia: la donna non viene solo uccisa, la donna uccide e lo fa con la stessa crudeltà dell’uomo. E a questo riguardo la contessa Elizabeth Bàthory (1560-1614) insegna».
Scorrendo le pagine del volume si evince che sono molte le donne che, nel corso dei secoli, attraverso ogni mezzo ed azione hanno “sminuito” lo stato biologico degli uomini, ma di questo se ne parla poco perché poco si conosce e perché gli uomini solitamente non denunciano l’atto subito. Richiamando il titolo del libro lo psicologo e criminologo Pietro Tranchitella (nella foto) lo ha ribattezzato: “Donne serial killer: un mondo di cui facciamo parte”, rifacendosi alla genesi che ci ricorda Caino e Abele, la leggenda di Romolo e Remo, e più ancestralmente il “peccato” (se lo si intende come reato) di Eva verso Adamo.
Ma che cosa porta ad essere criminali e che cos’è un criminale seriale? «Rispetto ai crimini comuni – ha spiegato Tranchitella – in questi casi c’è la ripetitività ed il modus operandi del crimine: si è serial killer nel momento in cui si commette una certa ripetitività, in un dato arco di tempo, con una certa modalità e nei confronti di un certo tipo di persone. Per sua natura la donna è fragile sotto l’aspetto fisiologico ma quella che intende perseguire e raggiungere un fine criminoso non è per nulla fragile, anzi, è doppiamente forte tanto da acutizzare il suo ingegno per raggiungere l’obiettivo, come appunto il compimento di un omicidio, per giunta seriale…». Secondo gli esperti in una mente criminale è presente l’intendimento di una certa azione criminosa come “un’arte del fare”, per diverse ragioni: soddisfare i propri bisogni, per puro piacere, per avere un proprio riconoscimento, per una propria affermazione da parte degli altri, o più semplicemente per un’autoaffermazione. Probabilmente per tutte queste ragioni il crimine consente di emergere, oltre al fatto che certe notizie divulgate dai mass media (specie televisivi) sono destabilizzanti… «Del resto – ha aggiunto lo psicologo – stiamo vivendo un momento di regressione psico-sociale molto forte che include aspetti economici, relazionali ed affettivi, e non meno quello narcisistico».
I molti capitoli che compongono il libro aiutano a comprendere come il male causato da molti esseri umani ha condizionato l’evoluzione della specie, attraverso la estrosa fantasia nell’infliggere all’essere umano le più atroci sofferenze sino a causarne la morte. A conferma di ciò l’autrice nella sua introduzione cita quanto sosteneva il filosofo ed economista britannico John Stuart Mill (1806-1873): «L’affermazione secondo cui la verità trionfa sempre sull’oppressione è una di quelle piacevoli falsità che gli uomini continuano a ripetere trasformandole in luoghi comuni, ma che sono confutate dall’esperienza. La storia è piena di esempi in cui la verità e la rettitudine vengono sconfitte dalla violenza». Anche se in chi uccide prevale quello che si può definire un “narcisismo ferito”, una vita condotta all’insegna della sofferenza come “vittima silenziosa” tali da determinare un disagio mentale ed anche il reato, il più delle volte le donne criminali hanno subìto privazioni, ingiustizie sin dal lontano passato, e sono arrivate a segno con reazioni incontrollate gravi, irrazionali e in molti casi senza una logica apparente. Forse questo non giustifica un crimine come l’omicidio, ancorché seriale, ma val la pena conoscere per sapere, e riflettere per capire…
E’ davvero impressionante, e lo è ancora di più, se si pensa ai tanti crimini commessi dalle madri sui loro figli, non certo nella misura seriale, ma forse la serialità in quegli atti era già componente delle loro menti distorte.
La società attuale con le tutte le problematiche etico-sociali e di costume che fa esplodere come lava da un vulcano, non favorisce certo la distensione mentale e conduce sempre più l’individuo dentro la gabbia del proprio narcisismo e all’interno del conseguente bisogno di mostrarsi con ogni mezzo, anche i meno leciti e cruenti.
Un saluto, Lucia