Raccontonweb: “Dono tra due mondi” di Andrea Anastasi

Cari lettori, oggi vi proponiamo un bel racconto del nostro collaboratore Andrea Anastasi, ma dalla prossima settimana tornerete ad essere voi i protagonisti di questa rubrica, quindi continuate a mandarci i vostri contributi. Non dimenticate, però, di leggere prima il regolamento di Raccontonweb.

Dono tra due mondi

New York, 18 aprile 1918

Caro Linuccio,

lavoro già da 2 mesi in una fabbrica di automobili . Sono riuscito a procurarmi  una mappa che potrà condurti da Ellis Island alla fabbrica. Puoi raggiungermi con i tuoi cari. Questo è un mondo di grandi opportunità fratello, dove il talento e la vostra volontà verrebbero certamente ricompensati. Non mi rassegno a non vedervi qui un giorno.

Con affetto,

Alfio


Scostati gli occhi da quella lettera, lo sguardo mi si pose immediatamente sulla stalla dal tetto fradicio: lì dentro c’era il cambio merce che ci avrebbe permesso di andare in America.

In pochi giorni vendetti a Don Marsala sei vacche, due giovani cavalli e due agnelli, ottenendo in cambio abiti e scarpe buoni per quattro e due casse di prezioso Limoncello fatte con i limoni più grandi, dorati e buoni di tutta la regione: un gradito regalo con cui omaggiare mio fratello.

I primi due giorni di traversata, tutt’altro che semplici per il clima rigido sul ponte e asfissiante sottocoperta, non furono duri quanto il terzo, quando una devastante tempesta stremò i passeggeri e ricordò alla nave la età.

Sul ponte, rischiarati da un sole timido e freddo giacevano ora cenciosi e mal ridotti passeggeri scampati al naufragi. Le vettovaglie necessarie al loro viaggio marcite a contatto con l’acqua.

Mia moglie non ci pensò su due volte: mandò i ragazzi a prendere le casse di Limoncello e organizzò un ristoro che da soccorso si trasformò in fretta in brindisi e festa.

Ciò a cui assistemmo il pomeriggio successivo non lo dimenticherò mai. Venuti a sapere che quelle casse di Limoncello erano un regalo destinato a mio fratello e nonostante molti sapessero, a differenza mia, che le norme sul proibizionismo di alcolici avrebbero reso vano il regalo, i passeggeri trovarono il modo, parlando anche coi membri dell’equipaggio, d’ideare un più adatto presente: tirarono fuori da bagagli e bisacce sale, acqua, farina, carta, spaghi e una macchina trita carne da cui si fece passare l’impasto trasformandolo in spaghetti freschi, che vennero avvolti e conservati in decoratissimi cartocci blu.

Accolti ad Ellis Island con procedure militari, controlli medici e test psicologici, tra gli italiani si sparse in fretta la voce che gli americani consideravano contagiose le malattie mentali, e per questo valutavano scrupolosamente i comportamenti più strani ed eccentrici.

Alcune volte bastava una risposta sopra le righe, altre volte un atteggiamento sbagliato o un vezzo qualsiasi a far marchiare qualcuno con una x di riconoscimento. Per la nostra famiglia fu quel bagaglio a destare i principali sospetti.

«Non lo sapete che anche nel nuovo mondo esistono gli spaghetti? Ve li dovevate portare dietro per tutto il viaggio?» urlavano le guardie.

Ridevano fragorosamente dentro le loro uniformi, ma io pensavo al mio rispettato fratello e al fatto che quegli spaghetti, alla fine del turno di lavoro nella fabbrica di automobili, sarebbero stati apprezzati anche dai suoi colleghi americani.

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