ENNESIMA CAMPAGNA ELETTORALE
Per quanto costituzionale sempre più “discutibile” il diritto-dovere recarsi alle urne, in quanto è un dualismo che meriterebbe essere messo in discussione
di Ernesto Bodini (giornalista e opinionista)
Quante promesse suffragate da ostentate considerazioni e giudizi tra tutti gli esponenti politici: gli uni verso gli altri. È un classico che si perpetua ad ogni caduta di Governo e relative nuove elezioni. Articoli e dibattiti non si contano e di conseguenza la retorica accompagnata dall’ipocrisia, proprio perché ogni “protagonista” ambisce al riconoscimento dei propri meriti, sia per quanto crede di aver fatto sino ad oggi e sia per quanto crede di potere mantenere con le sue proposte e promesse. Ma si sa, ogni campagna elettorale è come una battaglia all’ultimo sangue, ciascuno con il proprio vessillo da sbandierare a destra e a manca. Ne consegue che il cittadino-succube, e in parte sempre meno invogliato a recarsi alle urne, è a dir poco disorientato e non sa chi votare e soprattutto se andare a votare! Al di là del fatto che, come enuncia la Costituzione, l’atto del votare è un diritto-dovere del cittadino (su questo dualismo ci sarebbe molto da discutere), se lo si vuole compiere bisogna anzitutto avere un minimo di cultura costituzionale e conoscere i ruoli dei politici che intendono governare, ma nello stesso tempo sarebbe altrettanto utile (se non necessario) sapere il loro grado di istruzione e culturale che ne garantisca le rispettive competenze. È mera utopia che tutti i parlamentari abbiano competenze sulle infinite materie, anche se sono supportati da consulenti (e inutili portaborse), necessarie per approvare (o meno) una legge od un semplice emendamento. Se a ciò aggiungiamo il fatto che il nostro sistema politico-elettivo consente di far reggere un Dicastero a candidati carenti di istruzione, a differenza del fatto che per partecipare ad un concorso pubblico è necessario possedere un Diploma di Scuola Superiore o una Laurea; beh, mi si lasci dire che i paradossi “made in Italy” sono prodotti dalla prepotenza che è propria della politica. Inoltre, non bisogna sottovalutare che, come sempre, in odore di ambizioni per ruoli di potere la strada è irta di ostacoli e, per superarli, spesso si rasentano compiacenze, inciuci (termine scurrile) e talvolta anche qualche reato amministrativo, civile e/o penale. In buona sostanza per onorare quel benedetto “dualismo” bisognerebbe bendarsi gli occhi e tapparsi le orecchie, se non anche la bocca se si volesse dissentire pubblicamente a viva voce (chi scrive non ha remore!). In questi mesi di eccentrico bailamme politico, si sente dire di tutto e di più, ma non un politico ha richiamato l’attenzione sul problema dei detenuti innocenti, che da anni languono nelle carceri con nessuna prospettiva di rivedere il cielo oltre le grate… a causa di una condanna inflitta ingiustamente… con l’eterno dubbio di un discutibile giudizio se non addirittura “contaminato”. Evidentemente questi circa 30 mila innocenti conclamati (anche se per assurdo condannati, magari con sentenza definitiva) sono “figli di un Dio minore”, quindi potenzialmente 30 mila voti in meno; ed ecco che qui si fa strada il più becero opportunismo che, a mio avviso, suona come una ulteriore condanna. Quindi, non resta che affidarsi alla “sorte”, alla faccia dei buoni e sani principi costituzionali e di quelle leggi definite garantiste per il rispetto dei diritti degli italiani; molto meno lo sono invece per quelli a cui è stata tolta la voce e ogni altro diritto. In buona sostanza, è questo il Paese che si vuol vedere in risalita? A me non pare proprio, anche perché, come sosteneva il poeta e filosofo francese Ambroise Paul Toussaint Paul Valèry (1871-1945), «La politica è l’arte di impedire alla gente di impicciarsi di ciò che la riguarda».