Per evitare il ritorno dello “spettro” della poliomielite
di Ernesto Bodini
(giornalista scientifico)
La nostra è un’era sempre più “contorta”, ricca di aspettative che nulla fanno presagire di buono e, il problema delle tanto discusse vaccinazioni, ovviamente legate alla prevenzione di possibili patologie infettive e invalidanti, non fa che incrementare disorientamenti e preoccupazioni. Tra le diverse patologie a rischio ricorrente, e quindi soggette ad obbligo di vaccinazione, vi è “ancora” inserita la poliomielite (o paralisi infantile), scomparsa da anni in quasi tutto il mondo grazie ai vaccini Sabin /Salk; ma che purtroppo da alcuni anni il virus è presente in Afghanistan, Pakistan e Nigeria e, se non debellato, il rischio è di veder comparire nuovamente questa malattia anche nei Paesi occidentali. Con questo articolo vorrei orientare l’attenzione dei lettori, in particolare di coloro che non hanno cultura in merito e perciò contrari alle vaccinazioni, sugli effetti che la polio può causare. Basterebbe “rispolverare” la storia dei mutilatini e poliomielitici di Don Carlo Gnocchi, in particolare dal dopoguerra sino alla seconda metà degli anni ’60, epoca in cui il virus della polio in Italia colpiva mediamente circa 3.000 bambini ogni anno (la cui eradicazione avvenne con l’avvento della vaccinazione obbligatoria grazia alla legge n. 51 del 4/2/1966, l’ultimo ed unico caso si è verificato nel 1982), in gran parte ospitati e curati (compreso chi scrive) nei collegi della Pro Juventute.
IL RUOLO DELLA RIABILITAZIONE FISIOKINESITERAPICA PER IL TRATTAMENTO DEL POLIOMIELITICO
Indipendentemente dalla gravità i poliomielitici (oltre ai mutilatini) che hanno vissuto ad internato il periodo dell’infanzia e dell’adolescenza nei collegi voluti da don Gnocchi, sono stati curati grazie ad un complesso ed impegnativo programma di riabilitazione neuromotoria, prescritta da ortopedici e fisiatri (secondo le concezioni dell’epoca, già all’avanguardia). Va precisato che la situazione del fanciullo poliomielitico non è mai qualcosa di stabilizzato, varia continuamente in rapporto alla crescita, all’aumento ponderale, alle nuove prestazioni in parte generali e in parte soggettive. Nei soggetti colpiti da grave paralisi (nella foto piccoli pazienti in una palestra di fisioterapia del Don Gnocchi), in cui il recupero anatomico-funzionale appariva molto compromesso, il trattamento rieducativo era di primaria importanza in quanto si cercava di orientare il recupero stesso nell’ambito dell’autonomia della vita quotidiana. Il poliomielitico è un soggetto che veniva esaminato e curato con criterio individuale, poiché ogni caso presentava problemi propri a seconda dell’età, della gravità della paralisi, dell’epoca di comparsa della malattia, delle cure già praticate o trascurate prima dell’ingresso in Istituto. Di fronte ad una realtà così eterogenea molti casi sono stati di difficile soluzione, e soprattutto il problema prognostico appariva per molti incerto e insicuro trattandosi di individui in fase di sviluppo, e solo una lunga e paziente assistenza poteva mutare una prognosi sfavorevole in un’altra meno preoccupante. Un programma di terapia volto al recupero del motuleso (termine in uso per definire altrimenti il poliomielitico) comprendeva cicli di marconiterapia per i casi con turbe trofiche e vascolari, applicazione di raggi infrarossi e raggi ultravioletti nei casi affetti da disturbi cutaneo-vascolari più intensi, ginnastica respiratoria: tutti i pazienti sottoposti alla seduta di chinesiterapia segmentaria necessitavano di sedute di ginnastica respiratoria, soprattutto in presenza di gracilità organica e addominale; ginnastica medica correttiva per i soggetti che presentavano alterazioni a carico della colonna vertebrale; sedute di fisiokinesiterapia (massoterapia e idroterapia) per i casi con forme recenti, ma anche in forme più avanzate di ipertrofia. Tutto ciò rientrava nella medicina fisica e post-chirurgica riabilitativa e, da Torino, in particolare, nel 1949 don Carlo indicava la gravità del problema nazionale dei poliomielitici e l’urgente necessità del loro recupero fisico e sociale, tanto che numerose furono le adesioni e i consigli che ricevette a conforto di tanti polio.
LA LUNGIMIRANZA DI ELISABETH KELLY
Tra i molti professionisti impegnati nell’ambito della riabilitazione del poliomielitico particolarmente fattivo è stato il ruolo dei fisioterapisti (per la verità a quell’epoca erano tutte donne), la cui pioniera è stata l’infermiera australiana Elizabeth Kelly (1880-1952, nella foto). Si racconta, secondo alcune note biografiche, che nel 1911 quando incontrò il suo primo caso di poliomielite non era al corrente del trattamento convenzionale di polio, immobilizzando i muscoli colpiti con le stecche. In quel caso, usando il senso comune dettato dalla conoscenza dell’anatomia per curare i sintomi della malattia, applicò impacchi umidi (hot packs) per aiutare a liberare i muscoli, alleviare il dolore e consentire agli arti atrofizzati di essere spostati, allungati e rafforzati. Ma la sua attenzione si concentrò maggiormente in seguito all’epidemia di polio del 1933 nel Queensland (uno Stato dell’Australia), per il cui trattamento ebbe il merito di promuovere nuove tecniche di riabilitazione muscolare, sia pur in opposizione all’ortodossia…, cui seguì una lunga polemica in un momento in cui non vi era alcuna vaccinazione per prevenire la poliomielite. E proprio per questo nel 1935 fu nominata una Commissione per esaminare il suo metodo che nel 1938 ne decretò parere sfavorevole, mentre trovò approvazione e conforto da parte dell’opinione pubblica: nel 1940 negli Stati Uniti fu ricevuta con entusiasmo, e nel 1941 un Comitato medico della Fondazione Nazionale per la Paralisi Infantile si dichiarò d’accordo con la sua prassi e approccio di base. Nel 1942 divenne docente all’Università di Minnesota Medical School e fu fondata l’Elizabeth Kenny Institute di Minneapolis, e in molte cliniche degli Stati Uniti veniva usato il suo metodo. Dotata di notevoli poteri di persuasione, tenacia e indipendenza contribuì a concentrare l’attenzione del pubblico sui problemi delle vittime della poliomielite, contribuendo anche a migliorare le strutture disponibili per il loro recupero fisico. La Kelly è ricordata inoltre per aver brevettato nel 1927 la barella ambulanza “Sylvia”, progettata per ridurre lo shock nel trasporto di pazienti feriti. Contributi che fanno parte della storia e che, a mio avviso, i “non colti e gli sprovveduti” farebbero bene a considerare perché la prevenzione è saggezza che proviene dal “reale” sapere.
La seconda immagine è tratta dai documenti ufficiali della Pro Juventute
a chi rivolgersi per intervento al ginocchio per affetti da polio?