Figli naturali e figli legittimi: è tempo di svolta!

Un tempo chi concepiva e partoriva figli al di fuori di un matrimonio valido agli effetti civili aveva sicuramente una doppia preoccupazione: la prima che il figlio potesse non essere accettato dalla società come normale frutto della relazione amorosa vissuta; la seconda, di certo non meno importante, che il figlio potesse non godere mai del privilegio di avere un padre a cui poter fare riferimento per qualsiasi situazione, anche per quella meno felice, ma non per questo trascurabile, dell’eredità del genitore dipartito.

Il Codice Civile del 1942 (emanato, quindi, prima della Costituzione del 1948) determinava infatti con le sue norme una situazione di vera inferiorità giuridica dei figli naturali, cioè nati fuori del matrimonio, sacrificandone i diritti a favore di familiari e persino a favore di parenti lontani.

Dopo diversi anni, e numerosi punti interrogativi al limite della moralità più battagliera, interviene un disegno di legge delega in materia di filiazione che rivede e corregge alcuni fra i punti più importanti della relazione giuridica tra genitori e figli naturali.

Molti sono i punti che ridisegnano il rapporto giuridico dei figli naturali: dal concetto di potestà dei genitori si passa al concetto delle relazioni che intercorrono tra genitori e figli. Accanto ai doveri dei genitori previsti dalla Costituzione è introdotto il diritto del figlio ad essere assistito moralmente, a crescere con la propria famiglia, ad avere rapporti con i parenti e ad essere ascoltato in tutte le questioni che lo riguardano. Vengono messe sullo stesso piano sia la disciplina sulle successioni sia quella sulle donazioni al fine dell’eliminazione di ogni discriminazione tra figli.

È introdotta la nozione di abbandono, qualora la mancanza di assistenza da parte dei genitori e della famiglia abbia gravemente compromesso la crescita del minore.

Infine, le condizioni di indigenza dei genitori non potranno costituire un ostacolo al diritto del minore a vivere nella propria famiglia. Si prevede, ai fini del riconoscimento, un abbassamento da 16 a 14 anni dell’età richiesta per esprimere il consenso.

S’introduce inoltre il principio generale della unicità dello stato giuridico di figlio per effetto del quale le disposizioni in tema di filiazione si applicano a tutti i figli, senza distinzioni, salvi i casi in cui vi siano ragioni per distinguere i figli nati nel matrimonio da quelli nati fuori dal matrimonio (le definizioni di “figli nati nel matrimonio” e “figli nati fuori dal matrimonio” sostituiscono quelle precedenti di “figli legittimi” e “figli naturali” adeguando, in tal modo, il codice civile alla formula lessicale adottata dall’articolo 30 della Costituzione).

Sono state mantenute solo alcune limitazioni per evitare che la tutela di alcuni interessi dei figli naturali possa creare gravi conflitti all’interno della famiglia legittima: per esempio, la famiglia legittima ha il diritto di rifiutare di convivere con il figlio naturale di uno dei coniugi.

La situazione dei figli nati fuori del matrimonio si diversifica da quella dei figli legittimi anche per un altro aspetto: non hanno rapporti ‘giuridici’ con i parenti del loro genitore a eccezione degli ascendenti, cioè nonni e bisnonni. Ciò significa, ad esempio, che non acquisiscono legalmente ‘zii’ o ‘cugini’.

Tra figlio e genitore naturale nasce l’obbligo reciproco degli alimenti, in caso di bisogno dell’uno o dell’altro (art. 433 Cod. Civ.). Per tutte le questioni patrimoniali ed ereditarie il figlio naturale riconosciuto è assolutamente nell’identica situazione del figlio legittimo (con l’unica differenza che non acquisisce nessun diritto nei confronti dei parenti del genitore, tranne che verso gli ascendenti diretti).

Tra le altre modifiche previste dal provvedimento alcune riguardano la sfera educativo-culturale.

Nelle scelte importanti che li riguardano le opinioni dei figli peseranno di più. I genitori saranno obbligati ad ascoltarli e i loro pensieri dovranno “essere presi in considerazione, tendendo conto dell’età e del grado di maturazione”. Ma allo stesso tempo il figlio non potrà sottrarsi alle sue responsabilità familiari rispettando i genitori e contribuendo “in relazione alle proprie capacità, alle proprie sostanze e al proprio reddito, al mantenimento della famiglia finché convive con essa”.

Un ALT invece è posto all’obbligo per i genitori di amare i figli: il diritto a essere amati scompare dall’articolato originario perché l’amore – come ha sottolineato il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega alla famiglia, Carlo Giovanardi – “non è un diritto esigibile”, anche se si concede ampio dibattito sull’argomento in Parlamento.

Nuove regole quindi per la tutela dei figli naturali, regole che non danno solo un rinnovamento equo nel campo dei rapporti giuridici familiari, ma che insegnano e rimarcano i valori fondamentali di una società che sia davvero civile e rispettosa della salute morale dei propri consociati.

Il disegno di legge approvato nel Consiglio dei Ministri del 29 ottobre 2010 si colloca pienamente nell’alveo dell’articolo 30 della Costituzione che, al comma 1, sancisce il diritto-dovere dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli, “anche se nati fuori del matrimonio”.

La legge di riforma del Diritto di famiglia si è adeguata a queste direttive costituzionali e ha, finalmente, eliminato ogni discriminazione di ordine patrimoniale tra figli naturali e legittimi. Niente più spazio, dunque, a quella che è stata spesso definita una spregiante terminologia nel qualificare la figliolanza in figli e figliastri, con buona pace di tutti coloro che amano l’aulico concetto di civiltà umana e delle mamme più ansiose!

Sabrina Vasciaveo

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