Firenze: “No al rassismò” un mese fa la comunità senegalese ricordava Mor Diop e Samb Modou

Quando uno straniero arriva in Senegal viene accolto secondo i principi della “Teranga”, una parola che sta a significare “accoglienza”, ma che, più nello specifico, prevede ospitalità, benvenuto, calore: il tavolo viene imbastito del cibo migliore che c’è in casa, le porzioni sono più abbondanti del solito per festeggiare l’occasione di avere un ospite in casa.

La “Teranga” più che una consuetudine è una cultura che implica il rispetto e il calore per chi non abita qui, l’impegno per farlo sentire accolto in una terra che non è la sua. E al tempo stesso la necessità di dimostrarti che è un piacere che tu sia con loro.

Il momento della cena è quello di maggiore condivisione con l’ospite: si mangia tutti insieme, perché fa sentire più uniti, e mentre la gente del luogo mangia con le mani secondo le proprie tradizioni, se sei europeo ti offrono un cucchiaio.

Quando un senegalese arriva in Italia invece può ancora capitargli, se la giornata è sfortunata, di essere ucciso da qualcuno, nel bel mezzo del mercato cittadino, senza un reale motivo, se non quello del colore della pelle. Se gli va bene invece viene apostrofato come “vucumprà” e guardato con disprezzo.

Un mese fa, il 13 dicembre, un uomo italiano di 50 anni, Gianluca Casseri, simpatizzante di estrema destra, ha ucciso due senegalesi in piazza Dalmazia a Firenze, ne ha feriti altri tre e poi si è ammazzato. Ai senegalesi che sono in Italia succede ancora questo.

Il sabato successivo alla strage, il 17 dicembre, la comunità senegalese ha sfilato in corteo per ricordare i due senegalesi uccisi nella sparatoria.

Mentre ogni manifestazione in genere è accompagnata da slogan e musica, in quella del 17 dicembre non c’era nessuno stereo né canti: regnava il silenzio, come chiesto esplicitamente dalla comunità senegalese, per rispetto dei gravissimi lutti perpetrati.

Di slogan, in quella Firenze invasa dalla gente, se ne sente uno solo, gridato a gran voce dalla comunità senegalese con un marcato accento francese :“ no al rassismò!”. No al razzismo.

Si, perché in Senegal è il francese la lingua ufficiale, insieme ad altri 6 idiomi; il Senegal ha infatti 12 milioni di abitanti e una ventina di etnie diverse all’interno del proprio territorio che convivono pacificamente; sono un popolo abituato a sentir parlare più di una lingua e a convivere con una miriade di diversità culturali e di costume.

Che questa sia una semplice abitudine o una radicata cultura, certamente non sono abituati ad essere trattati ancora come ospiti, spesso sgraditi, venendo da un contesto nel quale la diversità e le differenze sono non solo quotidiane bensì ben accette. La Teranga ce lo dimostra.

Sfila accanto a loro, nella manifestazione di un mese fa, anche una parte d’Italia, un pezzo di questo Paese così poco multietnico; o meglio, un Paese che multietnico lo sta diventando ma fatica ad abituarsi a non fare caso ai colori della pelle, a convivere con chi viene da fuori.

Sabato 17 dicembre, un mese fa, uniti entrambi  nello stesso corteo arrivato da tutta Italia per ricordare e ricordarsi che Mor Diop e Samb Modou stavano lavorando, come ogni giorno, e sono stati ammazzati. Sognavano di tornare a casa dai loro figli, prima o poi.

Le loro due foto su una bandiera verde gialla e rossa, perché non rimangano solo due nomi. E 20000 persone in corteo che li accompagnano per ricordare e dimostrare che anche gli italiani non sono tutti uguali.

Grazia D’Onofrio

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