Franco Cardini e la verità sullo street food
Nel ricco programma della XX edizione del Festival della letteratura di Mantova è stata inserita anche una serie di incontri dal titolo “Le parole del cibo”. Tra questi appuntamenti, interessante e divertente quello dedicato allo street food con Franco Cardini e Francesca Scotti, a sorpresa da lui “arruolata” nel ruolo di spalla (compito che, peraltro, ha saputo svolgere brillantemente).
Di cucina Cardini si è occupato nel suo libro “L’appetito dell’imperatore. Storie e sapori segreti della Storia”, che ha definito «un libro di Storia, in parte documentata e in parte alternativa, ucronica», per poi fare dell’autoironia sulla sua qualità letteraria (“Questa è pubblicità al contrario!”, mi ha sussurrato divertita la mia amica Maria). Più precisamente, si tratta di una raccolta di racconti su personaggi celebri (Honoré de Balzac, San Francesco, Hernán Cortés…) in cui, appunto, la cucina fa da «filo conduttore» per quella che appare più una condanna che una scelta: «Sono un goloso represso: devo combattere tutta la vita per restare grasso e non sferico». Ma, a parer mio, è anche grazie a quei chili di più che si porta alla grande i suoi 76 anni.
Più che il proprio libro, Cardini ha mostrato di apprezzarne uno dell’amico Fabio Picchi: “Papale papale”, in cui il noto cuoco «ha inventato un tipo di cucina, che è un po’ una cucina degli avanzi», ispirata alle ricette «dei tempi della miseria, in cui con poco si cercava di accontentare». «Ho nostalgia di un tempo in cui si riusciva a parlare e anche del cibo di quel tempo» ha confessato Cardini con un pizzico di amarezza da rimpianto.
Grazie a lui e a Francesca Scotti ho potuto scoprire cose interessanti e, talvolta, sorprendenti, come il fatto che i cistercensi sono vegani mentre i camaldolesi vegetariani e che in Giappone è possibile acquistare al supermercato uova sode già pronte (per me una delle cose più difficili da cucinare come si deve o, perlomeno, come mi piace). Quanto allo street food, Franco Cardini ha rivelato che i venditori di cibo per strada compaiono già nel Medioevo, anche se all’epoca tale cibo per strada non veniva consumato, scelta che tutt’oggi fanno in tanti. In ogni caso, era già vero allora che «il luogo in cui si mangia per strada per eccellenza è la fiera» e ad attestarlo – ha precisato – sono persino alcune testimonianze iconiche. In Giappone, invece, mangiare per strada è vietato, ha raccontato Francesca Scotti che lì vive per buona parte dell’anno.
Mangiare è un’esperienza che coinvolge tutti i sensi e non passa solo per la bocca, ha affermato Franco Cardini: «Si mangia con gli occhi, con il naso… e con la fame, soprattutto». Oltre la battuta, però, il suo è stato un discorso ben più serio e profondo: a suo parere, l’affermazione di Ludwig Feuerbach per cui “L’uomo è ciò che mangia” «si può ribaltare in “L’uomo mangia quello che è, cioè le sue affinità”». Il già citato uovo, per esempio, «è simbolo di resurrezione» e il guscio è metafora della tomba, ha spiegato Cardini, tant’è che in alcuni paesi islamici, quale una parte della Nigeria, sono presenti tombe proprio a forma di uovo. Tombe che i terroristi di Boko Haram hanno in buona parte distrutto, ha fatto presente lo storico, ricordandoci che quella in cui ci troviamo in mezzo non è solo una (pseudo)crociata al contrario, ma anche e prima di tutto «una guerra civile tra musulmani». Altro esempio eloquente e affascinante di simbologia del cibo, lo fornisce ancora il Giappone con una pietanza chiamata in causa da Francesca Scotti: l’oyakodon, piatto a base di pollo e uova il cui nome significa “padre e figlio”.
E ora nessuno provi più a dirmi che il cibo non è una cosa seria!
Foto Silvia Onnis