GASTROENTEROLOGIA E OCULISTICA AI LUNEDÌ DELLA SALUTE AL MBC DI TORINO
Più attenzione ai sintomi dell’apparato gastroenterico, e non trascurare qualunque tipo di disturbo visivo
di Ernesto Bodini (giornalista scientifico)
Sempre più avvincenti le conferenze proposte dalla Associazione “Più Vita in Salute” alla presenza di un pubblico affezionato proprio perché particolarmente interessato alla prevenzione delle patologie e ad una maggior conoscenza per il proprio benessere. Lunedì 22 scorso si è parlato di La sindrome dell’intestino irritabile: quali giocatori? E quale terapia?, a cura del gastroenterologo prof. Marco Astegiano; e La vista si mette in gioco. Proteggere bambini e anziani, a cura dell’oculista prof. Mario Fagiano e dell’ortottista Anna Del Nero. In merito al primo intervento è stato ricordato che sino a qualche anno fa l’intestino irritabile era inteso come una combinazione variabile di sintomi gastrointestinali ricorrenti, che si verificano in assenza di alterazioni strutturali di origine biochimica e, nonostante gli esami di rito non risultava nulla… Nel mondo occidentale molte persone lamentano sintomi come mal di pancia e/o gonfiore della stessa, diarrea, evacuazione irregolare, stipsi, etc. ma quanti sono nel mondo occidentale le persone che lamentano questi sintomi? «Si parla di circa 3-30% – ha spiegato il prof. Astegiano – ossia il 15% della popolazione soffre di intestino irritabile (quindi una persona su sette). Diversa è la realtà nel sud-est asiatico dove tale disturbo è meno frequente, e ciò riflette una differente ricerca dal punto di vista epidemiologico. I pazienti che soffrono di intestino irritabile sono maggiormente le donne rispetto agli uomini nella misura di 3 a 1, tanto che rispetto agli uomini si rivolgono molto più spesso al medico di famiglia. L’esordio di questo disturbo è in genere avviene in giovane età (20-30 anni) , e il 30-70% dei pazienti si cura da sé a cominciare dalle diete, per poi andare incontro a seri problemi ricorrendo all’assunzione di lassativi non appropriati con conseguenti problemi di diagnosi e terapia». Dal punto di vista clinico i sintomi principali sono il dolore e la diarrea, talvolta gravi e persistenti (nel 90% dei casi si protraggono da oltre un ventennio), in seguito vi è variazione degli stessi… In genere si tratta di donne in carriera con lavori stressanti e tendenti al perfezionismo, che non esprimono disagio, ai auto curano e sono “condizionate” dall’ossessione del cibo, quindi con esagerata ed errata interpretazione dei sintomi e, stando male, si pongono molti problemi tanto da avere una vita non normale… “La qualità di vita dei pazienti con intestino irritabile – ha precisato il clinico – è sovrapponibile a quella dei pazienti che hanno una cardiopatia cronica congestizia: malati “veri” e gravi. In merito alla diagnosi si tratta di relazionare il più possibile con il paziente, visitarlo e non necessariamente seguire i protocolli: ogni paziente è un caso a sé tanto da orientare il medico verso una anamnesi e quindi una diagnosi. È quella che si chiama medicina narrativa volta a valutare la storia famigliare del paziente e identificare meglio ogni sintomo, approfondirlo e come valutare il dolore che può essere molto vario, specie se notturno. Tra i sintomi si tratta di valutare, ad esempio, la diarrea funzionale, e il peso delle feci in quanto possono determinare o meno la presenza della patologia; quella non funzionale notturna che può invece accompagnarsi a sintomi importanti come cefalea, emicrania, tachicardia ma anche problemi urinari e/o ginecologici, etc.». Secondo il clinico l’esame deve essere obiettivo: dalla visita normale a pratiche più “dirette”, come ad esempio anche l’esplorazione rettale proprio perché potrebbe essere utile alla diagnosi… In buona sostanza, il medico deve valutare se i sintomi hanno esordio recente o meno, soprattutto se improvviso o dopo i 40 anni. I sintomi “più allarmanti” solitamente si manifestano in presenza ematica nelle feci e se le stesse sono grasse, febbre, disidratazione, alterazione metabolica (i disturbi metabolici sono condizioni diverse che influenzano il metabolismo dell’organismo e la sua capacità di disgregare il cibo, ndr). Sul concetto relativo al microbioma, ossia la totalità del patrimonio genetico espresso dal microbiota, il relatore ha ricordato che ogni organismo vivente ha il suo genoma, il suo patrimonio genetico: il microbioma è il genoma del microbiota, ossia il patrimonio genetico di tutto il complesso dei microrganismi presenti nell’organismo umano. In effetti sono molte le patologie che dipendono dal suo equilibrio, e si tratta ora di applicare le scoperte alle terapie dei pazienti. “La serotonina è prodotta per il 95% a livello intestinale, e l’intestino lo si potrebbe definire il “primo cervello”… – ha spiegato il relatore –; e molti farmaci impiegati per trattare stipsi o diarrea agiscono come agonisti o antagonisti della serotonina, fondamentale per il funzionamento dell’intestino; e l’alterazione della motilità è un segno importante dell’intestino irritabile. Quindi, un’alterazione della composizione e della funzione del microbioma attiva il sistema infiammatorio, un stimolo nervoso e di conseguenza sfocia nell’intestino irritabile». Da notare, inoltre, che normalmente l’intestino umano è infiammato, in quanto è l’unico organo che ha due punti d’ingresso, una vera e propria combinazione variabile di sintomi gastrointestinali cronici e ricorrenti, tali da alterare e condizionare la qualità di vita. Ma quale la terapia? «Due terzi dei pazienti, come ripeto – ha spiegato il prof. Astegiano –, sono soliti auto curarsi e ciò sfugge al medico in quanto assumono farmaci da banco (senza ricetta). Si tratta di educare il paziente e indurlo anzitutto ad adottare una dieta adeguata (meglio se mediterranea), a compiere attività fisica in modo costante e adottare un più appropriato stile di vita; inoltre va detto che nessun farmaco risolve tutti i sintomi, considerando se il paziente sta assumendo nel contempo altri farmaci e con quali modalità. Tuttavia, in taluni casi, sono indicati alcuni antidiarroici, antispastici, antidolorifici, neurologici, etc., invitando il paziente a collaborare di più con il medico di riferimento: di famiglia o specialista».
Prof. Fagiano
Il secondo relatore ha iniziato spiegando cos’è il glaucoma, in quanto essere una malattia che rientra in due categorie completamente opposte: da un lato è la seconda causa di cecità nel mondo, e dall’altro è la prima causa di quella che è definita “cecità evitabile”. In sostanza, sono patologie che basterebbe curarle ed evitarne se non il loro manifestarsi almeno la loro evoluzione. «Ma il glaucoma – ha precisato – non è solo l’unica malattia oculistica, perché va anzitutto precisato che alcune definizioni sono “vere” in quanto il glaucoma è stato definito popolarmente il “ladro della vista”, con il rischio di accorgersi soltanto nel momento nel quale la vista è venuta meno. Un’altra definizione che in ambiente oculistico è nota con la avvertenza-descrizione: “il problema non è il glaucoma ma piuttosto sapere di averlo”, in quanto tale affezione è curabile sempre, e molto spesso anche abbastanza facilmente… Oggi, grazie a farmaci e metodiche strumentali varie di chirurgia, non esiste un glaucoma non curabile in assoluto. È però importante, ripeto, sapere di averlo». Sul perché si può contrarre questa malattia è importante e in considerazione del non sapere di averla, il clinico ha precisato che bisogna considerare che il 70% delle informazioni che si hanno sul mondo esterno passa attraverso l’occhio umano, e il 30% del nostro cervello è dedicato alla visione. Quindi, funzioni importanti in quanto il nostro occhio ha un centro: la visione centrale del mondo esterno; e il glaucoma inizia dai bordi: ognuno può avere dei deficit laterali e in tal caso la malattia potrebbe essere avanzata, ma ciò non è sempre semplice da determinare perché il cervello sovrappone l’immagine dell’occhio destro con quella dell’occhio sinistro e viceversa, cancellando determinate opacità nel campo visivo. Accorgersi di avere degli scotomi (immagini scure di deficit visivo, ndr) è più comune di quanto si creda. Ma come intervenire in questi casi? «Facendo un’indagine specifica – ha spiegato il relatore –, ma è però molto diffusa l’idea che il glaucoma sia legato a un problema di pressione dell’occhio; ciò è vero, ma non sempre, se non addirittura ingannevole perché è vero che se la pressione dell’occhio è elevata (tono) si ipotizza di avere il glaucoma, ma non è altrettanto vero che se la pressione dell’occhio in quelli che sono considerati i valori medi o normali, è possibile aver contratto il glaucoma che rientra nella cosiddetta “a bassa tensione” o “a pressione normale”, in questi casi i più pericolosi… e l’unico esame che permette di confermare con sicurezza di avere o meno il glaucoma è l’esame del campo visivo; esame consigliabile a tutti gli over 50; mediamente ogni 5 anni è sufficiente per una tempestiva diagnosi e relativa cura. Quindi, non serve tanto misurare il tono oculare ma l’osservazione del campo visivo, peraltro esame non invasivo… anche se “fastidioso” per il tempo che richiede». Ha poi proseguito con la descrizione della cataratta che in realtà non è una malattia, ma dovuta all’invecchiamento dell’organismo, e come tale progressivo con l’età e quindi inesorabile; in concreto è l’opacizzazione della lente naturale all’interno dell’occhio che è detta cristallino, le cui cause possano essere non solo l’invecchiamento ma anche eventuali traumi, o altre patologie oftalmiche o sistemiche. «I sintomi – ha spiegato il prof. Fagiano – sono una visione offuscata o doppia, ipersensibilità alla luce, percezione ridotta dei colori. In questi casi si interviene chirurgicamente in base all’età del paziente e al suo stile di vita, e in considerazione che lo stesso non sia affetto da altre patologie oculari». Tralasciando alcuni passi della descrizione tecnica l’oculista ha ricordato che quando si prescrivono le lenti multifocali, esse hanno il vantaggio di migliorare l’acuità visiva, maggiore sensibilità al contrasto migliorando la visione notturna, aumento della trasmissione globale della luce, e miglioramento nel contempo delle performance ottiche, oltre ad una più precisa correzione dell’astigmatismo. Infine, nel citare l’ambliopia (“occhio pigro”) ha ricordato essere un deficit della visione centrale mono o bilaterale che insorge nei primi anni di vita, con diminuzione della vista non correggibile e senza alterazioni evidenti della struttura oculare.
In merito alla prevenzione di questo deficit è intervenuta l’ortottista Anna Del Nero, una professionista nota anche come assistente di Oftalmologia, specializzata nella prevenzione, valutazione e riabilitazione ortottica dei disturbi visivi e nell’esecuzione di esami strumentali oculistici. Nelle fasi dello sviluppo visivo in realtà chi “vede” è il cervello, e i primi mesi di vita rappresentano il periodo critico durante il quale si sviluppano e differenziano le aree del cervello deputate alla visione. Nei mesi successivi al periodo critico si considera il perfezionamento delle capacità visive. Ma cosa succede se manca la cosiddetta “esperienza visiva”? «Si sviluppa l’ambliopia o “occhio pigro” – ha spiegato – che è un deficit della visione centrale che può colpire ambedue gli occhi, e che insorge nei primi anni di vita. Tale deficit si manifesta con la diminuzione della vista non correggibile con occhiali, senza esserci alterazioni della struttura oculare. Ma ciò che provoca una inadeguata esperienza visiva è la completa impossibilità di mettere a fuoco le immagini; ma se tempestivamente trattato può regredire e migliorare. In presenza di deprivazione visiva o opacità dei mezzi diottrici, e nella maggior parte di questi fattori è trattabile chirurgicamente con la riabilitazione visiva». In merito alla diagnosi di ambliopia sono disponibili apparecchiature per l’esame aggressivo, che permettono un’unica misurazione di diversi fattori e analizzarli con il database di riferimento. «Per la riabilitazione – ha concluso – la stessa è possibile anche dopo i 7 anni attraverso un sistema di visual training biofeedback».