Gay Pride Palermo, la campagna di comunicazione fa discutere
Procede tra numerose polemiche, a Palermo, l’organizzazione della manifestazione contro l’omofobia promossa dall’Arcigay, in programma il 21 maggio.
Dopo che la Curia di Palermo ha vietato una veglia di preghiera per le vittime dell’omofobia prevista il prossimo 12 maggio nella chiesa di S. Lucia, si registrano adesso atti vandalici contro la campagna di affissione relativa al ‘Pride’, attualmente esposta in città. Quest’ultimo episodio, legato alla comparsa di scritte omofobe su alcuni manifesti, sta accidentalmente incrementando l’attenzionalità intorno alla campagna pubblicitaria, facendo riflettere come non mai i cittadini sui contenuti e messaggio. Avendo avuto modo di registrare pareri contrastanti circa il gradimento e la comprensione della campagna da parte del pubblico, ho voluto interpellare alcuni “esperti” in merito.
Riporto di seguito due brevi analisi, sospese tra semiotica, sociologia e valutazioni personali, di due giovani omosessuali laureati in Tecnica Pubblicitaria presso l’Università di Palermo. I giudizi, riferiti esclusivamente all’efficacia della campagna pubblicitaria, contengono opinioni divergenti, per certi aspetti opposte, ma entrambe degne di essere rappresentate.
R., 22 anni: “ Il gruppo Ideas Destroying Muros ha fatto un buon lavoro. Innanzitutto la scelta di soggetti corali è già una traduzione istantanea dello spirito del Pride. […] Questo universo comune, però, è a sua volta variegato e presenta diversi modi di vivere l’omosessualità. […] I componenti più colorati (non solo esteriormente) sono quelli che vivono il proprio orientamento con più coraggio. […] L’uso di un verso di una canzone siciliana in luogo di un headline anglofona orecchiabile è più che adatto per un evento che parla dell’essere omosessuali in Sicilia. Il verso, inoltre, è stato adattato per una campagna multisoggetto che affronta le quattro problematiche scelte dagli organizzatori. Si tratta dei quattro ostacoli principali che incontra chi ama (e non ha scelto di amare) persone dello stesso sesso: approvazione sociale dell’individuo e della coppia (che utopia baciarsi senza alcun rischio!), matrimonio e adozioni.
La scelta di foto en plein air nei luoghi chiave di Palermo è significativa. Non più un’omosessualità autoreferenziale come nella campagna precedente, ma quasi la rappresentazione dell’obiettivo del Pride: portare a vivere meglio il proprio orientamento in mezzo alla gente, all’aperto. […] Il Pride è il corteo più allegro tra le modalità di corteo esistenti. Non c’è rabbia, ma c’è coalizione e cameratismo. La rabbia (ingiustificata) viene dall’esterno. Più che frivolezza è appariscenza, che ho sempre giustificato come una valvola di sfogo dalla repressione quotidiana”.
A., 26 anni: “Fenomeno da baraccone. L’ennesimo. Divertente, curiosa, circense. Inosservata, aggiungerei. […] Come spesso accade in Italia, la rappresentazione mediatica di una manifestazione seria, fatta per la richiesta di diritti e per una maggiore integrazione di un gran numero di persone, viene delegittimata (per poi venire meglio ignorata) a festa gioiosa e gaia, che non riguarda la maggior parte della popolazione, anzi è meglio che quest’ultima se ne discosti e magari disgusti.
Le immagini apparse sulla campagna pubblicitaria del Gay pride 2011 di Palermo non sembrano sottrarsi a questo messaggio. […] A parte la foto (tutt’altro che originale), i soggetti, le loro pose e i loro costumi, mi risulta inopportuna l’headline “e io ca sugnu bedda, mi vogghiu marità”. La frase al femminile (che può andar bene per lesbiche e transessuali, perché mai per gli omosessuali di sesso maschile?) tenta di affrontare (male!) il tema delle unioni di fatto (nei paesi civili, i matrimoni), con un’ironia che conferma l’atmosfera goliardica con cui viene annunciata la manifestazione.
Fermo restando che ognuno ha il diritto e il dovere di esprimere se stesso e la propria personalità come meglio gli aggrada, credo sia importante far passare l’omosessualità e ancor di più la transessualità come fatti assolutamente naturali e normali, che sarebbe l’ora di accettare socialmente, in maniera seria e definitiva. Non mi dispiacerebbe, l’anno prossimo vedere nei manifesti un transessuale in tailleur, al lavoro in un ufficio postale”.
Andrea Anastasi