Geppi e Rossella: Donne fra le donne
di Marcella Onnis
Il sipario è calato sul 62° festival di Sanremo, finalmente. Per lo più è stata un’edizione all’insegna della prevedibilità: la vittoria di Emma, l’anonimia della valletta, lo spreco di denaro pubblico, il micidiale mix scala-tacchi alti, le ovvietà e le gratuite sparate a zero di Celentano, l’imbranataggine di Morandi nelle vesti di conduttore, le polemiche di ordinanza …
Le sorprese sono state davvero poche. Lo è stato sicuramente questo podio tutto rosa, che fa pensare ad un 8 marzo anticipato, anche se forse – almeno così spero – sono poche le donne che si sentono rappresentate dalle tre artiste premiate: Emma (spacco vertiginoso e portamento da scimmione), Arisa (degna di stima e simpatia nelle vesti di brutto anatroccolo ma poco credibile come femme fatale, non avendone il physique – e la voix – du rôle) e Noemi (passata dal bel rosso naturale al rosso Jessica Rabbitt, insostenibile quando affiancato alle tonalità fucsia, verde e azzurro elettrico dei suoi abiti).
Mi piace pensare che, piuttosto, a sorprendere gli italiani e a inorgoglire in particolare le italiane sia stata un’altra donna salita su quel palco: Geppi Cucciari.
Geppi con le sue curve genuinamente mediterranee (altro che la Ferilli), con la sua comicità irriverente ma mai volgare (esempio unico in questa edizione, come lei stessa ha visto bene di sottolineare), con quell’accento che è un omaggio alle sue origini e che non si preoccupa di occultare con fittizie pronunce da scuola di dizione.
Geppi che non è bella ma che, come tutte le donne normali, per le occasioni importanti “si mette in tiro” e sì, non resiste alla tentazione di mettere in mostra il decolleté, ma lo fa a modo suo: scherzandoci su e risparmiandoci l’ipocrita gesto di coprire, di tanto in tanto, con una mano il seno scoperto o di tirar su di continuo lo scollo dell’abito.
Geppi che, come i suoi colleghi che l’hanno preceduta, chiude il suo intervento comico con un momento serio però, a differenza loro, non sceglie un tema francamente un po’ scontato, quale può essere l’appello agli italiani affinché mantengano unito il Paese. Decide, infatti, di parlare di Rossella Urru, “perché nessuno ne parla”. Già, fuori dalla Sardegna, i media hanno cose più importanti di cui occuparsi: le flessioni in tv di Michelle Obama, l’accordo tra Alfano, Bersani e Casini (novella Triplice Allenza, ribattezzata ridicolmente “ABC” in linea coi tempi miserini che stiamo vivendo), la neve d’inverno e persino San Valentino (ben tre giorni di servizi sul tema nei tg delle reti pubbliche). Quindi a parlarne, mentre milioni di persone la guardano (ma giusto perché in attesa del verdetto finale della manifestazione), ci pensa lei.
Rossella Urru è di Samugheo (OR), non ha neanche trent’anni e già svolge – senza accozzo – un lavoro importante e di responsabilità, che ne fa una vera cittadina del mondo: è la coordinatrice di diversi progetti umanitari dell’organizzazione non governativa CISP (Comitato internazionale per lo sviluppo dei popoli). Svolge quest’attività da diverso tempo e l’ha fatto nel totale anonimato fino alla notte tra il 22 e il 23 ottobre 2011, quando è stata rapita in Algeria insieme ad altri due cooperanti spagnoli. Le autorità italiane pare si stiano mobilitando per lei, ma per i media evidentemente non è importante tenere alta l’attenzione sulla sua vicenda. Allora la speranza è che al più presto, almeno per un giorno, se ne parli ancora su RaiUno: per annunciare la sua liberazione. Dopo, le auguriamo di tornare ad aiutare gli altri nel silenzio, come sicuramente ama fare e come fanno anche tante altre persone che, lontano dai riflettori, ogni giorno si rimboccano le maniche per assistere i meno fortunati. Persone che veramente meritano di essere applaudite e ammirate. Loro e non quelli che pretendono cachet da capogiro che poi, fuori tempo massimo e solo per far tacere le polemiche, devolvono in beneficienza.
Rossella meriterebbe a pieno titolo di stare tra le donne ordinariamente straordinarie con cui l’anno scorso il nostro giornale ha festeggiato l’8 marzo. E, in attesa di saperla libera, mi appunto la lezione che lei e Geppi, donne con la D maiuscola, inconsapevolmente offrono al gentil sesso italiano: il riscatto della figura femminile non passa tanto per le manifestazioni in piazza contro un personaggio che è solo uno dei tanti sessisti presenti nella politica e, in generale, nella società italiana, né per le quote rosa che – come dicono persone ben più autorevoli di me – “cristallizzano” la differenza anziché combatterla. La nostra dignità dobbiamo difenderla noi giorno per giorno, interpretando al meglio il nostro essere donne nella quotidianità: in famiglia, sul lavoro (poco importa che lavoriamo nel mondo dello spettacolo, nel terzo settore, in una fabbrica o in un ufficio pubblico) e in ogni campo della vita sociale.