Gestione dei dati e innovazione: qualche spunto dal Forum PA Sardegna
Il Forum PA Sardegna, organizzato a Cagliari il 28 e il 29 aprile 2016, ha riservato grande attenzione alla partecipazione dei cittadini ma anche ad altri temi fondamentali per la vita di una Pubblica amministrazione. Di seguito alcune considerazioni raccolte nella sessione pomeridiana del 28, dedicata all’Agenda digitale della Sardegna e moderata dall’ing. Riccardo Porcu, direttore del Servizio comunicazione istituzionale, trasparenza e coordinamento rete Urp e archivi della Regione autonoma della Sardegna.
TRASPARENZA E PRIVACY: UNA CONVIVENZA DIFFICILE – Affinché ci possa essere una reale partecipazione, deve esserci a monte informazione la quale, a sua volta, richiede fruibilità dei dati, ossia trasparenza. È ormai risaputo, però, che quest’ultima fatichi ad accordarsi con la tutela della privacy, come ha evidenziato l’intervento di Claudio Trementozzi, consigliere nazionale dell’Associazione italiana della comunicazione pubblica e istituzionale. Il relatore ha segnalato come la Legge 7 agosto 2015, n. 124 (la cosiddetta Legge Madia) abbia risollevato l’interrogativo già posto dal Dlgs 14 marzo 2013, n. 33: «Fino a che punto la PA deve essere trasparente e deve condividere i dati in suo possesso?» Un interrogativo che si è posto anche la Commissione europea e a cui sta cercando risposte tramite una consultazione pubblica sull’e-privacy. In proposito, Trementozzi ha rimarcato la grande sensibilità di quest’organismo verso la partecipazione (verrebbe, tuttavia, da chiedersi se si tratti di un tentativo di colmare quel deficit di legittimazione che le viene rimproverato), cui fa però da freno l’utilizzo di un linguaggio non sempre semplificato. Non può, infatti, esserci partecipazione senza comunicazione, ha spiegato, aggiungendo che quest’ultima, a sua volta, presuppone una semplificazione del linguaggio (ossia l’abbandono del burocratese). Tra le novità normative introdotte a livello europeo in materia di privacy, Trementozzi ha segnalato il Regolamento sul trattamento dei dati personali e la Direttiva sulla protezione dei dati nelle attività di polizia e giustizia. Ha segnalato, però, anche un’altra norma rilevante: l’art 5 della Direttiva sulla protezione del segreto commerciale che, in materia di whistle-blower, dispone la non applicabilità delle sanzioni a chi viola il segreto commerciale per rivelare pratiche scorrette, irregolarità o attività illecite.
UNA MOLE DI DATI … DA GESTIRE – Ma torniamo ai dati, con i quali peraltro è cominciata questa sessione di lavori. Di big data ha parlato Alessandro Chessa, assistant professor in Data science presso l’IMT – School for Advanced Studies. Questi ha evidenziato come i vari sistemi oggi disponibili (GPS, social media, smartphone…) consentano di generare e raccogliere enormi quantitativi di dati. Addirittura, entro il 2020 avremo 25 miliardi di dispositivi capaci di generare dati, ha annunciato in un intervento successivo il fondatore e CEO di Entando Walter Ambu, riportando le stime della società Gartner. Tutte queste informazioni, però, per essere realmente utili devono essere interpretate, ha precisato Chessa, aggiungendo che tale interpretazione deve avvenire in una logica di insieme, mappando i dati in una struttura di rete e non considerandoli come compartimenti stagni. La PA deve, pertanto, adottare questa concezione e strutturare rigorosamente i propri open data, se vuole far loro acquisire valore e dare vita al cosiddetto semantic web.
Non solo: deve anche rendere interoperabili i propri sistemi perché la mancata comunicazione tra questi rende anche difficile conservare i dati che contengono, come hanno segnalato sia Monica Grossi, Direttore dell’Archivio di Stato di Torino, che Sabrina Mingarelli, Soprintendente archivistica della Sardegna. Sempre in un’ottica di ammodernamento e risparmio, Grossi ha anche invitato a incentivare il riuso dei software e la sperimentazione in qualunque campo, perché occorre «credere nel cambiamento possibile».
LE VIE PER INNOVARE LA PA – Lungo queste direttrici si muove una delle innovazioni recentemente adottate dalla Regione Sardegna: la determina elettronica contabile (DEC), di cui ha parlato in modo chiaro e comprensibile anche ai non addetti ai lavori Gianluigi Contini, Responsabile del Settore coordinamento degli archivi del Servizio della comunicazione istituzionale della Regione Sardegna. L’amministrazione regionale, ha spiegato Contini, produce oltre 30 mila determine in un anno e gestirle con il procedimento cartaceo richiedeva tempi lunghissimi, senza parlare degli spazi necessari per archiviare questa mole di carta (di ogni determina si conservavano, infatti, più copie). Con il procedimento telematico, pertanto, si punta ad abbattere questi tempi e a dematerializzare l’atto contabile. Al contempo, ha aggiunto, si assicurano più controlli che, però, essendo automatici non allungano i tempi del procedimento, anzi, li accorciano. Tradotto in termini concreti, questo significa anche che i pagamenti a imprese e altri soggetti esterni diventano più rapidi (si parla di 6 giorni), come ha rimarcato Riccardo Porcu. Questo nuovo sistema, che rispetta pienamente le norme in materia, è stato sperimentato nel 2015 e da quest’anno sta entrando a sistema per tutta l’Amministrazione regionale. Per il futuro, ha annunciato Contini, si punta a integrarlo con gli altri sistemi utilizzati dalla Regione, a estenderlo alle determine non contabili e a creare fascicoli digitali che includano tutti gli atti del procedimento.
Alcuni begli esempi di come l’innovazione stia consentendo la crescita delle PA, soprattutto nel campo della cultura, dell’ambiente e del territorio, sono emersi dal brillante e avvincente intervento di Gaetano Ranieri, professore di Geofisica applicata dell’Università di Cagliari. Ranieri ha illustrato alcuni utilizzi pratici dell’innovazione tecnologica nelle analisi geofisiche, tra i quali spiccano gli scavi nel sito archeologico di Mont’e Prama. Già nel 1992 – ha precisato il professore – il Consiglio d’Europa aveva raccomandato che in questo tipo di ricerche si evitasse, dove possibile, di effettuare scavi e si ricorresse, piuttosto, ad analisi digitali. In Italia, però, come d’abitudine, questi orientamenti sono stati recepiti con molto ritardo: un vero peccato, visti i vantaggi e i successi che stanno consentendo di ottenere. Ranieri ha, per esempio, raccontato che con l’ausilio di 15 occhi meccanici stanno elaborando mappe in 3D del sottosuolo del sito di Mont’e Prama. Questa macchina – capace di mappare fino a un metro di profondità con la precisione di un centimetro – non solo ha permesso di mappare due ettari di terreno in un’ora e 20 minuti, ma ha anche reso possibile la scoperta del più grande bétile mai costruito al mondo. Tali applicazioni, ha ipotizzato Ranieri, potrebbero portare alla nascita di un’intelligenza artificiale archeologica, che naturalmente richiederebbe una formazione ad hoc degli archeologi. «Questa è la nostra ricchezza» ha affermato, per poi ringraziare i suoi collaboratori (cosa non certo frequente) i cui nomi campeggiavano in una delle ultime slides. Collaboratori che, ha raccontato, oggi sono purtroppo senza lavoro. Il suo intervento si è comunque chiuso con uno sguardo positivo, citando una frase di sua figlia: «Senza immaginazione non ci sarebbe la realtà futura». Per Stefano Sotgiu dell’associazione Civica, peraltro, l’innovazione illustrata da Ranieri «è una metafora di un processo decisionale perfetto» perché quei 15 occhi sono come 15 punti di vista diversi che, messi a confronto, consentono di prendere la miglior decisione, capace di tutelare i vari interessi in gioco.
La PA potrebbe, però, esplorare anche altri percorsi di innovazione, quale quello indicato da Walter Ambu e basato sull’esperienza di Entando, azienda produttrice di software open-source, nata a Cagliari e oggi localizzata a San Diego in California. I software open-source, ha spiegato, «sono modelli di condivisione che hanno un impatto sociale notevole e che consentono uno scambio di dati, in particolare di open data». Ambu ha anche evidenziato come il futuro, anzi, il presente, sia l’Internet of things (IoT), cioè l’utilizzo di oggetti intelligenti, collegati a internet e capaci di svolgere autonomamente funzioni che prima richiedevano il supporto umano (ne è un esempio Lifely, di cui vi parlammo tempo fa). «Il punto chiave è l’esperienza utente, la digital user experience» ha spiegato Ambu, chiarendo che occorre creare «una piattaforma con un’interfaccia che consenta agli utenti di accedere ai dati che cercano», accesso che deve poter avvenire in maniera agevole e autonoma. Anche per quanto riguarda il software della sua azienda è, infatti, convinto che «quando non servirà più il training, la piattaforma sarà perfetta». A suo parere, dunque, la chiave del successo è seguire quanto stanno già facendo diverse aziende: «concentrare i budget sul contatto con i cittadini» e investire nell’interfaccia utente.