Giovani ed Europa: il report delle ACLI di Cagliari

Che cosa pensano i giovani sardi dell’Europa? Cosa si aspettano dalle istituzioni europee? Le ACLI provinciali di Cagliari hanno raccolto le opinioni di 150 teste pensanti.

di Marcella Onnis

Nelle scorse settimane le ACLI provinciali di Cagliari hanno organizzato una serie di iniziative (workshop, seminari, convegni e forum di discussione) per ricostruire il pensiero de i giovani sardi sull’Europa.

Le ACLI hanno reso ora disponibili i risultati del lavoro svolto con il contributo di 150 giovani (qui il report del workshop “Europensiamoci”), consapevoli che le opinioni e le proposte raccolte possano risultare utili in vista delle elezioni europee che si svolgeranno domenica prossima, 25 maggio 2014. E non meno preziose potrebbero essere per il semestre italiano di Presidenza del Consiglio dell’Unione europea, che decorrerà dal prossimo luglio.

FILO-EUROPEISTI MA CON MODERAZIONE
Per molti italiani l’Europa e l’euro sono ormai sinonimi di demonio e in tanti – non solo tra i politici – ne hanno fatto il capro espiatorio di tutti i mali che affliggono l’Italia: troppo coraggio e troppa maturità richiederebbe, infatti, ammettere che i problemi del nostro Paese sono iniziati molto prima che entrassimo nell’Unione europea e che adottassimo la moneta unica. Per tali ragioni, è interessante scoprire che questi giovani – cioè persone che, in media, non stanno vivendo un presente felice e che certo non hanno davanti un futuro roseo – non vedono nell’Europa e nell’euro un male assoluto ma, anzi, ne riconoscono i vantaggi.

Naturalmente, questo campione di popolazione non è neanche ottusamente filo-europeista e, nel corso degli incontri con le ACLI, ha saputo individuare numerose criticità, accompagnate, però, da proposte volte al loro superamento. Filo conduttore delle opinioni raccolte è la consapevolezza che siano necessari più politiche e standard omogenei fra gli stati membri. Senza di essi, infatti, i vincoli volti a unificare e rendere comune moneta, mercato, bilanci, prassi… risultano non solo vuoti, ma anche controproducenti. Ovviamente l’osservazione vale, in primo luogo, per la politica monetaria ed economica: senza una visione unitaria in questo settore, l’euro continuerà a essere più un cappio che un fattore di sviluppo e facilitazione.

FATTA L’EUROPA BISOGNA FARE GLI EUROPEI
Non stupisce nemmeno che questi giovani lamentino l’assenza di una cultura europea: è evidente che tra la popolazione ci sia ancora molta ignoranza riguardo alle istituzioni europee, ai loro ruoli e al loro funzionamento, come pure sulle opportunità che derivano dall’essere cittadini europei e dall’abitare in uno Stato membro. Sui vincoli c’è forse una maggiore consapevolezza, ma c’è da chiedersi se una buona parte dei cittadini non ne abbia una conoscenza parziale e viziata. Una conoscenza, cioè, non diretta ma desunta da opinioni altrui – per lo più di politici e governanti –, tante volte basate su interpretazioni imprecise e faziose delle norme comunitarie.

La mancanza di una cultura europea e del senso di appartenenza a questa realtà sovranazionale in buona parte è sicuramente imputabile a noi stessi cittadini, ma per altra parte alle istituzioni che non hanno saputo trasmettere adeguatamente quel patrimonio informativo che ne favorirebbe lo sviluppo. Le istituzioni, cioè, non hanno finora saputo educare in tal senso i cittadini. Del resto, non c’è di che stupirsi: se dopo più di un secolo e mezzo dall’Unità d’Italia, ci sono ancora persone che non si sentono italiane, è “normale” che dopo qualche decennio dalla nascita della Comunità economica europea – e dopo ancor meno tempo dall’avvento dell’Unione europea – ci siano ancora italiani che non si sentono europei.

La strada da percorrere per diventare veri cittadini europei, purtroppo, è ancora lunga. Lo confermano anche le campagne elettorali per le prossime consultazioni: i principali partiti, quelli cui i media prestano la maggior attenzione, hanno tirato in ballo soprattutto temi di politica interna o, peggio, fatti personali utili a screditare gli avversari. Non solo: hanno trasformato queste elezioni in una verifica elettorale nazionale. E rivolte al vento, come al solito, risulteranno le parole di ammonimento del presidente Napolitano.

RESTA IL DEFICIT DI DEMOCRAZIA
Con queste premesse è, dunque, difficile far sentire davvero coinvolti i cittadini in ciò che accade a livello sovranazionale. Anche perché è evidente a tutti – compresi, ovviamente, i giovani interpellati dalle ACLI – che l’Unione europea non abbia ancora colmato il noto deficit di democrazia. Le decisioni sono, infatti, ancora in gran parte appannaggio di burocrati e di rappresentanti nazionali che non hanno ricevuto un’investitura popolare (infelice schema che, negli ultimi anni, stiamo, di fatto, replicando nel nostro Paese). Da qui la richiesta dei giovani sardi di garantire a livello europeo una maggior partecipazione alle decisioni. Ed è sicuramente sottinteso in questa proposta che la partecipazione sia effettiva, in fase ascendente come in fase discendente: di inutili sondaggi fatti per avvallare decisioni già prese o per raccogliere suggerimenti che non si intende prendere in considerazione ne abbiamo a sufficienza nel nostro Paese.

UN’EUROPA “SENZA CUORE”
Altro deficit spesso rimproverato all’Europa è la mancanza di… cuore o, per essere un po’ più tecnici, di attenzione verso i problemi sociali e umanitari. Una mancanza che si è sempre giustificata con le origini di questa unione fra stati – nata per scopi economici, cioè creare un mercato comune-, ma che da diverso tempo si sta, almeno a parole, cercando di superare. La crisi diffusa che si fa sentire persino in città come Bruxelles – che viste dall’Italia potrebbero sembrare “al di sopra di ogni sospetto” – e i sempre più corposi flussi di immigrati provenienti dall’Africa chiedono, però, interventi concreti e immediati. È tempo che gli stati europei facciano fronte comune anche per rispondere adeguatamente a queste situazioni drammatiche. L’Unione europea non può essere un vincolo a senso unico in virtù del quale si debba solo dare senza mai prendere. Anche i giovani ascoltati dalle ACLI chiedono agli Stati membri, in particolare, di prendersi carico delle situazioni, non tanto individuali quanto nazionali, di maggior sofferenza economica. In particolare, chiedono azioni di tipo redistributivo ed interventi tempestivi per aiutare gli Stati in difficoltà. Certo, pensando al nostro Nord che guarda con insofferenza – e non sempre a torto – le politiche perequative nazionali, è difficile immaginarsi una Germania disposta a cedere un po’ della sua ricchezza a stati economicamente più deboli, ma tentar non nuoce. Certo è che tali proposte non troveranno risposte positive se gli stati più deboli non dimostreranno di star effettivamente lavorando per superare la loro condizione di difficoltà.

PIÙ CONCRETEZZA PER FORMAZIONE E LAVORO
Alcune delle proposte avanzate durante i lavori coordinati dalle ACLI interessano più direttamente i giovani e riguardano istruzione, formazione e lavoro. Sui primi due punti è emersa la richiesta di una  linea formativa comune per i corsi di laurea, che faciliti anche il riconoscimento all’estero dei titoli di studio. È questo, infatti, un presupposto per realizzare la tanto decantata libera circolazione dei lavoratori. Venendo, quindi, al lavoro, i giovani sardi propongono “politiche più incisive, con stage professionali finalizzati all’assunzione e non fini a se stessi”. Difficile non vedere in questa proposta una critica indiretta a certe fumose iniziative delle istituzioni regionali e nazionali, spesso finanziate proprio con fondi europei.  È il caso di quei corsi di formazione o tirocini retribuiti che, a percorso ultimato, si rivelano inutili a creare occupazione perché non programmati tenendo conto dell’effettivo fabbisogno del mercato locale.

In generale, stando ai risultati del lavoro svolto dalle ACLI, alcuni settori sono troppo regolamentati mentre altri, in particolare l’ambiente, richiederebbero più attenzione da parte delle istituzioni europee.

bandiera italiana con sullo sfondo la bandiera europeaPIÙ TRASPARENZA E REPONSABILITÀ
Tornando poi al discorso del deficit di democrazia e chiudendo così il cerchio, i giovani sardi puntano il dito anche sulla scarsa trasparenza nella gestione dei fondi europei (e non potrebbe essere diversamente, posto che in Italia la trasparenza e la responsabilità sono, di fatto, ancora intese da politici, legislatori e pubbliche amministrazioni come un obbligo formale e non come un modo di essere). Non solo: questo campione di cittadini ritiene che i parlamentari europei siano incompetenti  e che manchino meccanismi e procedure idonee a verificarne l’operato. E le verifiche – secondo quanto da loro affermato – non possono essere effettuate neppure a monte perché i programmi elettorali sono poco dettagliati, poco pubblicizzati e poco condivisi con gli elettori.

I futuri parlamentari europei hanno quindi parecchi punti utili cui ispirare il proprio operato, ma sapranno farne tesoro? Sicuramente ci sarà chi prometterà di farlo, ma le promesse dei politici ormai per molti di noi sono attendibili quanto i propositi di chi vuol mettersi a dieta in vista dell’estate e puntualmente ne rimanda l’inizio di settimana in settimana in settimana…

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