GIUSEPPE CAMPANELLA, UN UOMO DI ELEVATA INTEGRITÀ MORALE
Il ricordo di un amico che la malattia ha reso più “speciale”: la sua sofferenza non ha avuto il sopravvento e ha lasciato il posto all’umiltà e all’affetto per la sua famiglia
di Ernesto Bodini (giornalista scientifico e biografo)
È sempre utile ricordare le persone care quando ci hanno lasciato, o meglio, ci hanno preceduto? E se sì, perché ricordarle? Certamente molto dipende se c’é stato un rapporto di parentela, oppure un rapporto di amicizia o anche professionale; ma anche dal contesto dell’evento che ne ha causato la dipartita. Anch’io, probabilmente come gran parte di tutti noi, in questi decenni ho conosciuto moltissime persone di quasi tutti i ceti, professioni, fede religiosa, posizione socio-culturale ed altro ancora. La mia realtà, per lo più imperniata sull’attività giornalistica in ambito medico-scientifico, culturale e del volontariato, è costellata di conoscenze che in taluni casi si sono tramutate in un rapporto di amicizia, in alcune delle quali la loro malattia e quindi la sofferenza mi hanno in qualche modo coinvolto, unitamente ai loro famigliari diventando un loro “riferimento” per un sostegno morale e a volte anche pratico… Tra queste oltre sei anni fa alcune circostanze nell’ambito del volontariato mi hanno fatto incontrare Giuseppe Campanella (nella foto), incontro preceduto tempo prima dalla conoscenza della figlia Rossella, una professionista nella formazione delle discipline infermieristiche. Era un uomo settantenne (da poco in pensione) dopo una lunga ed estenuante attività di imprenditoria nel settore della produzione di manufatti metalmeccanici; oltre ad essere un appassionato di caccia e di cucina, ma soprattutto dedito alla sua famiglia (moglie e due figli) per la quale non si è mai risparmiato. Questo primo incontro, avvenuto in occasione di una cena unitamente alla moglie Emanuela e alla figlia, è stato tra i più semplici e spontanei e, tra una portata e l’altra, Giuseppe mi confidava timidamente di avvertire qualche disturbo agli arti inferiori e che si stava facendo visitare da più specialisti. Ho recepito quelle confidenze come segno di stima e considerazione, nonostante l’inizio della sua conoscenza, ma al tempo stesso mi sono sentito particolarmente “coinvolto” quasi a volermi immedesimare nella sua preoccupazione. Trascorrono i mesi e, mantenendo i contatti, la famiglia mi aggiornava sulla iniziale e lenta evoluzione dei disturbi dell’amico Giuseppe… sempre più preoccupato ma determinato a resistere con la “complicità” del suo buon umore e del suo perenne sorriso. Dopo un continuo peregrinare tra un clinico e l’altro il quadro andava facendosi più serio ma ancora incerto, sino a quando un giorno è approdato ad un luminare ed alla sua équipe che, dopo gli opportuni accertamenti, ha formulato la diagnosi che ha assunto un quadro ben definito: l’amico Giuseppe era affetto da una grave malattia neurodegenerativa… che non avrebbe lasciato scampo. Ma ciò che più mi ha colpito è che, nonostante il progredire dei sintomi mi ha accolto in modo “più ufficiale” come suo amico e della sua famiglia, tanto da trascorrere alcune ore insieme nella sua dimora piena di calore umano e di sentimenti. Ora, a distanza di poco più di due anni dalla sua scomparsa, quel “vuoto” non è assenza, ma una grande compensazione che è la sua eredità: la bontà e la giovialità come ricchezza per tutti. Averlo ricordato è un dovere alla memoria, ma soprattutto messaggio per le nuove generazioni, affinché sappiano apprezzare la saggezza di chi le precede. E non deve essere necessariamente una malattia a sensibilizzare, ma i profondi valori interiori che hanno umanamente contraddistinto la loro esistenza, proprio come quella di Giuseppe Campanella. Uno dei tanti, forse, ma sicuramente uno dei pochi che hanno saputo soffrire e gioire nello stesso tempo perché solo così, a parer mio, si è veri Uomini!