Giuseppe Medile, uno fra tanti “giocattoli di Dio”?
Nel suo primo romanzo, “I giocattoli di Dio”, Giuseppe Medile racconta la sua latitanza in Brasile durante gli anni Ottanta. Una storia che scuote e percuote, frenata solo da uno stile curato e schietto, ma inaspettatamente anche pudico e poetico.
Perché parlare su queste pagine de “I giocattoli di Dio” di Giuseppe Medile, storia in cui – afferma persino uno degli editori – «non c’è redenzione, nessuna evoluzione»? Sicuramente non per il mero fatto che l’autore è un detenuto che solo da adulto ha scoperto il valore della cultura e, al contempo, la propria vocazione letteraria.
LA RICERCA DI SENSO – Ne parliamo, innanzitutto, per lo stesso motivo per cui l’editore, l’associazione culturale ChiPiùNeArt, ha deciso di inserirlo nella sua collana di narrativa “I rubini”: perché, come gli altri titoli scelti, è in grado di raccontare la realtà contemporanea, «di descrivere la difficile ricerca di senso in cui si dibattono questi nostri tempi incerti e confusi». Nel caso di questa testimonianza autobiografica, datata anni ’80, la ricerca di senso parte con una fuga da un carcere italiano e si sviluppa in Brasile, dove percorre vie contorte, deplorevoli secondo la morale (almeno a parole) dominante, probabilmente senza approdare ad alcuna risposta. Seguendo il protagonista-narratore in questo viaggio più interiore che esteriore, il lettore viene catapultato con lui in un mondo a doppiofondo dal quale “uscire in verticale” sembra impossibile. Le (dis)avventure si susseguono, infatti, a ritmo serrato in un crescendo di angoscia, orrore e irrazionalità. A esser franchi, alcuni sviluppi sanno un po’ di “americanata” e lasciano supporre che l’autore abbia inconsapevolmente “abbellito” i propri ricordi o consapevolmente aggiunto un po’ più finzione letteraria di quella necessaria a proteggere la privacy e l’incolumità propria e altrui. In ogni caso, non possiamo escludere che anche i fatti più incredibili siano andati esattamente come li descrive: il contesto – quello senza dubbio raccontato con autenticità – dimostra chiaramente che la realtà, delle volte, davvero supera la fantasia.
UN PAESE INFIDO – Quello descritto da Giuseppe Medile è, infatti, un mondo infido, una strega travestita da fata. «Possibile che in questo paese non esistano regole? […] Brasile […] conosco le tue bellezze, il verde delle montagne e gli infiniti colori del tuo mare… conosco la gioia di vivere che brilla negli occhi dei bambini e la paura che vi getta le sue ombre… conosco le donne custodi dei segreti dell’amore… quello che mi è oscuro è quel bisogno che la gente ha di tradire senza pudore» scrive a un certo punto. O ancora: «È un Paese strano, il Brasile, in cui la vita può valere meno di niente e può finire prima che uno possa rendersene conto». Perché l’inganno è sempre dietro l’angolo e ha vita facile, complice l’indifferenza, vera e partorita dall’assuefazione o simulata per vigliaccheria. Colpisce, in particolare, questo passaggio: «Dai bidoni dall’odore nauseabondo fuoriuscivano le piccole gambe dei meninos e, insieme ad esse, le code dei cani che contendevano loro i resti di quel cibo maledetto. […] Quello che mi lasciò ancora più stupito fu l’indifferenza delle persone che passavano ridendo e non si curavano di quello spettacolo tremendo».
Medile, però, sa che anche il pregiudizio – e, di conseguenza, il suo smascheramento – ha una doppia faccia, che non manca di mostrarci: così come ci rivela che in Brasile violenze, corruzione (soprattutto tra la polizia), tradimenti e spietato opportunismo si celano dietro il fascino delle sue donne, delle sue spiagge, della sua allegria e del suo Carnevale, così ci racconta pure che in questa terra non tutto è caos e sregolatezza. È il caso, ad esempio, di Santos, «[…] una città pulita e ordinata dove la gente ti sorride composta e gli automobilisti rispettano il codice della strada in maniera sorprendente, per me che immaginavo il Brasile come terra di nessuno e di tutti».
UN UOMO IN LOTTA CONTRO NESSUNO – Non meno interessante, contraddittorio e imprevedibile dello “scenario esterno” è quello “interno”. Pino Medile – che in Brasile diventa Carlo Damiani, noto Carlos – non è un santo e non si presenta come tale: riconosce di avere delle perversioni e di aver fatto molti sbagli. Però è convinto di aver agito sempre secondo ragione e dietro motivazione, come di aver saputo intessere rapporti basati sul rispetto e non sull’imposizione. Convinzioni curiose per uno che, al contempo, ammette che in certi momenti l’abuso di cocaina ha compromesso del tutto la sua lucidità mentale. Dal suo stesso racconto, inoltre, emergono chiaramente – seppure da lui non riconosciuti – un forte maschilismo e un’inclinazione alla violenza gratuita, soprattutto verso le donne. Caratteristiche, queste ultime, che rendono veramente difficile simpatizzare con lui, anche perché simili comportamenti possono solo in parte essere spiegati con l’influenza del retroterra culturale di provenienza. Se è vero, infatti, che il suo percorso di vita è sicuramente stato segnato dal luogo in cui è nato e cresciuto, dove le regole e i valori non erano quelli “standard”, Medile segue comunque un codice d’onore e un sistema di principi, peraltro non così lontani da quelli della morale “ordinaria”. Non solo: é capace di sentimenti sinceri, profondi e positivi, tra i quali trova spazio anche la tenerezza.
Non si possono, inoltre, tralasciare alcune sue indubbie doti: è scaltro, schietto, orgoglioso, ambizioso e – in quel contesto – pure serio e professionale. Doti di per sé neutre, che ha scelto di indirizzare verso fini riprovevoli e, a conti fatti, lesivi per se stesso prima ancora che per gli altri. Medile, insomma, è un uomo, in quanto tale contraddittorio, imperfetto e degno della nostra compassione, almeno per le volte in cui si è ritrovato in serio pericolo e senza amici, rimasto solo «a combattere la mia battaglia contro nessuno», e per le volte in cui è stato tradito, umiliato e maltrattato.
SISTEMI DI VALORI PARALLELI – Sarebbe sbagliato arrogarsi il diritto di giudicarlo: troppo facile parlare di libero arbitrio, quando si é cresciuti tra agi e legalità. Non a caso, in precedenza, abbiamo ricordato l’influenza che ha sugli uomini il retroterra di provenienza. Anche se ogni tanto fingiamo che non sia così, sappiamo bene, infatti, che esistono ambienti dove la scala di valori non è la stessa che è stata insegnata alla maggior parte di noi. Luoghi in cui può essere normale ciò che per altri è aberrante. Ne sono consapevoli pure gli editori de “I giocattoli di Dio” che, nella prefazione, spiegano che la scelta di pubblicarlo «non obbedisce ad una logica commerciale facente leva sulla triade sempre vincente “sesso, droga e violenza” […] ma alla volontà di proporre un viaggio – dall’interno – nella mentalità e nel sistema di valori di un uomo che ha sempre considerato la vita al di fuori della legalità come l’unica possibile». Del resto, anche il nostro amico Carmelo Musumeci ci ricorda che «[…] spesso non ci sono “né buoni né cattivi”. Molte volte lo decide la cultura della società di dove vivi quando sei l’uno o l’altro» (da “L’assassino dei sogni”, raccolta di lettere tra l’ergastolano Carmelo Musumeci e il filosofo Giuseppe Ferraro).
ASTENERSI DAL GIUDIZIO – Presuntuoso sarebbe anche condannare senza appello quegli atteggiamenti riprovevoli che Medile ha riscontrato in Brasile e raccontato in queste pagine. A diffidarci dall’emettere sentenze sono le parole rivolte a Giuseppe-Carlos da Michelle, sicuramente la figura femminile più positiva e anche “letteraria” del romanzo: «Tu non sai cosa significhi nascere in Brasile, voi venite qui con i vostri soldi, pensando di essere i padroni del mondo. Lo so io che cosa significa la fame e che vuol dire vendersi per un pezzo di pane. Voi siete così… vi approfittate della nostra miseria per soddisfare le vostre voglie». Peraltro, saremmo stolti a credere che gli orrori qui descritti siano molto lontani da noi nel tempo e nello spazio. Certo, possiamo sperare che alcune aberrazioni (in particolare, la criminalità infantile, la corruzione dei poliziotti e l’estrema disumanità delle carceri) non si verifichino in Italia o almeno non siano la norma, ma ci sono altre storture che certo non sono un “prodotto locale”. Se non conoscessimo il contesto, per esempio, forse potremmo pensare che sia il nostro Paese quel «lì» in cui «le persone valgono per quello che possiedono e non per ciò che sono, […] l’apparenza distingue il ricco dal povero e […] mostrarsi umile significa venire emarginato e maltrattato da coloro che contano».
Simili letture – per quanto dure e apparentemente poco o nulla “costruttive” – servono soprattutto a questo: invitare ad astenersi dal giudizio, che è una delle regole più difficili da ricordare e applicare.
CHI È SENZA PECCATO … – C’è pure un altro motivo per cui riteniamo che questo libro meriti il nostro e il vostro tempo: perché ci costringe a farci domande scomode, anche se questo significa minare alcune nostre certezze e sommergerci di dubbi. Tanto per cominciare, non possiamo evitare di chiederci se, al posto di Medile, avremmo saputo agire diversamente, mantenendoci nella legalità o perlomeno ritornandovi prima che fosse troppo tardi. Magari avremmo pure agito diversamente, però può darsi più per vigliaccheria o per mancanza di scaltrezza che per senso civico e dirittura morale. Possiamo, infatti, affermare con certezza che noi, lontani dai nostri punti di riferimento e dotati di nuova identità, saremmo rimasti immuni al richiamo della ricchezza e del potere, seppure conquistati con metodi illegittimi e violenti? Ci fanno vacillare certe confessioni di Medile come questa: «Mentre proseguivamo alcuni uomini, armati di mitra e con delle pistole a tamburo nella cintola, ci indicavano il cammino. Tutto mi sembrava irreale, ma non nascondo il fascino che quegli uomini e tutta la situazione esercitavano su di me».
I GIOCATTOLI DI DIO – Il dubbio più scomodo, però, lo suggerisce il titolo: siamo davvero giocattoli nelle mani di Dio? L’idea non è solo dell’autore ed esistono precedenti anche più radicali, tra i quali un passaggio terribile del romanzo “I falsari” di André Gide: «Si diverte con noi come un gatto con il topo che tormenta… […] E sapete qual è la cosa più orribile che ha fatto? Sacrificare il proprio figlio per salvarci. Suo figlio! Suo figlio! … La crudeltà, ecco il principale attributo di Dio». Personale (e interessante) è, però, l’argomentazione che Medile offre per la sua tesi. E poetico è il modo in cui la espone, presentando il romanzo ai lettori.
La convinzione di essere un giocattolo nelle mani del Creatore ingenera in Pino-Carlos una visione della propria esistenza tendenzialmente fatalistica e, verrebbe da dire, anche un po’ comoda: ritenere Dio responsabile di tutti i guai in cui ci si trova coinvolti è, infatti, sicuramente meno problematico che ammettere di aver determinato quella situazione con le proprie scelte sbagliate. A guardar bene, comunque, la tendenza a trovare responsabili esterni per i propri guai è piuttosto diffusa e, al di là di ciò che si afferma, il più delle volte – come accade a Medile – comunque non elimina la consapevolezza di avere una buona dose di responsabilità.
D’altro canto, non è così semplice neppure accettare l’idea che se Dio esiste, sia crudele o perlomeno egoista. Non è bello pensare di poter essere pedine nelle Sue mani. Al massimo, se riteniamo che ci convenga, possiamo accettare – fingendo di non capirlo – di essere pedine nelle mani di altri uomini. Ma a Dio no, questo affronto non lo possiamo perdonare… almeno che, anche Lui, non ci usi in un modo che ci aggrada, donandoci occasioni inaspettate che non è nelle nostre capacità procurarci. «[…] la mia storia potrebbe essere la vostra. Siamo tutti giocattoli di Dio e tutti quanti noi soffriamo e gioiamo in maniera forse diversa ma, a conti fatti, in egual misura» scrive l’autore ed è difficile smentirlo, anche perché tutti, almeno una volta nella vita, abbiamo avuto pensieri simili ai suoi davanti a fatti umanamente inspiegabili e inaccettabili: «Dov’è la tua misericordia, Signore? […] Non posso rispettare ciò che non comprendo».
UNA STORIA … LETTERARIA – Trattandosi di un romanzo, è d’obbligo una nota anche sul suo profilo letterario. Se è vero che la storia in sé é così avvincente che da sola potrebbe tenere attaccato il lettore dall’inizio alla fine, non c’è dubbio che a distinguerlo da un comune romanzo d’azione contribuisca non poco pure lo stile narrativo dell’autore. La scrittura è sobria e schietta, comunque mai gratuitamente cruda o volgare e per di più capace di lasciare posto al pudore (che a ragione il narratore definisce «segno di riserbo e di educazione») e a sprazzi di poesia, saggiamente centellinati. Una delicatezza di stile che potremmo dire necessaria, perché riequilibra la durezza dei contenuti, rendendoli sopportabili. Ma una bella prova delle sue doti letterarie Medile già l’aveva fornita nell’antologia “Lenta cavalca nel tempo la prossima ora”, che prende il titolo proprio da una sua poesia. Quest’ultima, bellissima e inquietante, è riportata pure in tale volume, perché partorita dalle stesse esperienze di vita e accomunata dallo stesso messaggio: «illude il piacere e ti lascia impotente».
Foto Michele Porcu
Una lettura profonda e complessa, tale da sviscerare il testo e da dare alla vicenda criminale una dimensione universale. Complimenti alla magnifica lettrice.
Merito di questo libro che impone di riflettere e di rimettere in discussione tante cose. E se hai apprezzato le mie riflessioni, allora forse gli ho reso il giusto onore!
Il valore della cultura, quella interiorizzata, quella che apre la mente come un paracadute e rende l’uomo veramente libero!
E poi il libero arbitrio e la consapevolezza di essere responsabili delle proprie scelte.
E poi la sofferenza e la rinascita interiore.
Intenso, profondo commento, quello che propone Marcella Onnis con forti argomenti di riflessione e di profonde implicazioni morali. Grazie!
Mi riprometto di leggere questo testo ed anche l’altro.
Un saluto.
Lucia
Vorrei avere avuto dalla vita un’altra chance, ma dovrò convivere con la realtà di essere ciò che sono stato. Guardandomi allo specchio vedo qualcuno che non conosco, sono io a volerlo credere oppure è vero. Una cosa è certa, in quel riflesso i piaccio davvero!