Gli attentati in Sardegna: spunti dal dibattito a Cagliari
Lunedì 7 novembre 2016 si è svolto a Cagliari, nella splendida Sala Settecentesca della Biblioteca Universitaria, un dibattito organizzato da SardegnaSoprattutto e ispirato dal libro “Gli attentati in Sardegna. Scena e retroscena della violenza” di Antonietta Mazzette e Daniele Pulino. A moderare il dibattito la giornalista Susi Ronchi, che ha coordinato gli interventi in modo attivo, inserendo spunti propri nella riflessione ma al contempo rispettando gli spazi e le competenze dei relatori.
NUMERI E VITTIME – La giornalista ha subito evidenziato come quello degli attentati sia «un problema endemico in Sardegna» e purtroppo anche in espansione. Secondo i dati illustrati da Daniele Pulino, sociologo dell’Osservatorio sociale sulla criminalità (OSCRIM) dell’Università di Sassari, dal 1° gennaio al 31 ottobre 2016 in Sardegna sono stati denunciati 325 attentati, cifra che evidenzia un trend di crescita se rapportato ai 354 attentati del 2015. L’incidenza del fenomeno in rapporto alla popolazione è maggiore nelle province di Nuoro, Ogliastra e – abbastanza a sorpresa – Oristano. Gli attentati, inoltre, sono concentrati per oltre il 30% in piccoli, se non piccolissimi, comuni (ossia quelli con meno di 5.000 abitanti), in particolare dove esistono terre soggette a usi civici, anche se il maggior numero si è registrato a Olbia. Nel capoluogo sardo, Cagliari, sono, invece, in crescita ma non hanno raggiunto cifre elevate.
Il fenomeno chiaramente non riguarda solo la Sardegna che, anzi, non è tra le realtà italiane peggiori, ha precisato Antonietta Mazzette, coordinatrice dell’OSCRIM. Anche il prefetto di Cagliari Giuliana Perrotta ha segnalato che nell’Isola gli attentati non sono particolarmente aggressivi rispetto al passato: rientrano nella «micro-violenza quotidiana» e non sono «progetti eversivi», però «creano allarme nell’opinione pubblica». Preoccupante è soprattutto che nella maggioranza dei casi i colpevoli non vengano individuati. In proposito, il comandante della Polizia penitenziaria del carcere di Uta Paola Uscidda ha provocatoriamente fatto notare che mentre le azioni della polizia vengono puntualmente filmate e tali video diffusi sui media, raramente avviene altrettanto con i reati.
In Sardegna come nel resto d’Italia, gli attentati colpiscono differenti soggetti, ha evidenziato per prima il prefetto di Cagliari: non solo pubblici amministratori (che, secondo i dati illustrati da Pulino, quest’anno hanno finora rappresentato solo il 6% delle vittime) ma anche e soprattutto imprenditori e altri privati cittadini, compresi casalinghe e disoccupati, come ha evidenziato Paola Uscidda. E sia per lei che per Antonietta Mazzette la presenza di tali tipologie di vittime è uno degli elementi più allarmanti.
Per quanto riguarda, invece, il genere delle vittime, Daniele Pulino ha precisato che a essere colpiti sono più gli uomini che le donne, le quali comunque si aggirano intorno al 20%, come conseguenza della loro accresciuta capacità di accedere a ruoli di spicco in politica e in ambito imprenditoriale.
PER OGNI FENOMENO UN CONTESTO – L’analisi svolta da Mazzette e Pulino si sofferma sul contesto sociale e geografico in cui sono avvenuti gli attentati negli ultimi tre decenni, in particolare dal 1983 a oggi, con l’obiettivo di fornire elementi utili a rintracciare le cause del fenomeno. Solo individuando queste, infatti, è possibile, soprattutto per le istituzioni e i governanti, attuare interventi efficaci e non mere azioni-tampone: «Il libro è rivolto anche alla politica perché pensiamo di fare un servizio» ha spiegato Antonietta Mazzette.
Una delle domande a cui prova a rispondere il lavoro dei due studiosi è se dietro questi attentati ci siano singoli individui o la criminalità organizzata. Dubbioso riguardo alla seconda ipotesi il sociologo Nicolò Migheli per il quale «in Sardegna non esiste un monopolio della violenza, ma esiste una violenza diffusa». Secondo Mazzette, però, gli elementi finora raccolti dimostrano che la criminalità organizzata si è infiltrata nell’Isola, in particolare in alcune aree in cui sono stati colpiti più imprenditori che amministratori e in cui si sono verificati eventi anomali a seguito di questi attentati. E se per il giornalista Umberto Cocco gli attentati sono «il prodotto di una sottocultura irrazionale», anche perché spesso non ottengono i risultati sperati (a partire dallo scoraggiare le candidature, che continuano a essere numerose anche in piccoli centri), per lei, invece, almeno dietro questi attentati di impronta più economica che politica ci sono «elementi di ragionevolezza».
Interessante anche quanto emerso dall’analisi dei mezzi utilizzati: in prevalenza atti incendiari quando obiettivo è un’azienda; ordigni e armi da fuoco quando obiettivo è una persona, il che porta Mazzette e Pulino a ipotizzare che gli autori abbiano dimestichezza con questi mezzi e, presumibilmente, svolgano attività illegali che consentono di entrarne facilmente in possesso. La contestualizzazione, però, anche qui è fondamentale: come è stato fatto notare da altri relatori, in comuni quali Luras l’elevato numero di attentati dinamitardi si spiega con la presenza di cave e la conseguente facilità di entrare in possesso di esplosivi. Al di là di questi casi particolari, però, i relatori concordano sul fatto che la Sardegna sia tra le regioni in cui circolano più armi, il che – segnala Antonietta Mazzette – dovrebbe portare a chiederci chi ci sia dietro questa massiccia circolazione di armi, anche perché queste, la droga e gli attentati sono tutti strumenti di controllo del territorio.
Sorprendente e sicuramente degno di attenzione anche un altro elemento segnalato dalla Coordinatrice dell’OSCRIM: la mappa degli attentati è praticamente la stessa delle coltivazioni di marijuana e dei casi di peste suina (per cui chi considera le istituzioni, a partire dalla Regione, uniche responsabili del fatto che quest’ultima piaga non sia ancora stata debellata, bene farebbe a mettere in discussione questa ricostruzione).
L’INFLUENZA DEL DISAGIO SOCIO-ECONOMICO – Cosa alimenta questo tipo di violenza? Sicuramente esiste una correlazione con la crisi economico-sociale, ma non è semplice stabilire quanto questo fattore sia determinante. Per Umberto Cocco, che durante la sua esperienza come Sindaco di Sedilo fu obiettivo di attentati intimidatori, la crisi ha inciso e incide molto. Inoltre, gli attentati sarebbero per lui un modo in cui le persone «si sfogano per un risultato non raggiunto», ipotesi che peraltro giustificherebbe sia gli attentati agli amministratori (per promesse elettorali non mantenute) che ad aziende e privati cittadini (“colpevoli” di possedere qualcosa di più; sull’invidia, così tristemente diffusa nella nostra Isola, ha peraltro puntato il dito anche Rita Dedola, Presidente dell’Ordine degli avvocati di Cagliari).
I dati raccolti da Mazzette e Pulino sembrano, tuttavia, mettere in dubbio la forte correlazione tra attentati e disagio socio-economico, visto che un numero elevato di attentati si è registrato a Olbia, città in cui esiste un certo grado di benessere. Ne è convinta, in particolare, Susi Ronchi che ha evidenziato come, parallelamente, non si registri un numero particolarmente alto di attentati nel Sulcis-Iglesiente, una delle aree sarde in cui il disagio socio-economico è più forte. Per il prefetto Perrotta, in ogni caso, «il clima di disagio economico-sociale favorisce effetti emulativi».
Viene da pensare, allora, che il disagio sociale vada inteso come effetto non tanto della crisi economica quanto della crisi della società, come conseguenza dell’esasperazione dell’individualismo, che si declina in una distorta esaltazione della libertà del singolo e nella sua contestuale deresponsabilizzazione, con conseguente svalutazione di valori quali rispetto e senso civico. Non a caso il prefetto Perrotta, indicando la prevenzione come risposta concreta a questo fenomeno, ha affermato che le persone mostrano oggi una difficoltà «di interagire con gli altri, di sapersi confrontare», perché sono venuti a mancare «senso civico e controllo sociale». Per questo, a suo parere, occorre una «strategia di ampio respiro» che, coinvolgendo tutte le istituzioni e le organizzazioni sociali, diffonda «una cultura dei valori civili» che consenta di avere «cittadini partecipi, consapevoli e coscienti». D’accordo con lei Rita Dedola, per la quale la prevenzione si porta avanti anche con dibattiti che – come questo – coinvolgono la società civile, e Antonietta Mazzette, per cui occorre «lavorare sulla comunità», riflettendo anche sul fatto che l’isola «ha pochi spazi pubblici», intesi come «luoghi di formazione del pensiero comune»: «Se la Sardegna ha una povertà, è questa» ha affermato a conclusione del suo intervento. Sulla necessità di lavorare con la comunità i relatori hanno battuto molto anche a proposito della questione dell’omertà, sulla quale ci soffermeremo in un altro articolo.
SERVONO PENE PIÙ SEVERE? – Un’altra risposta a questo fenomeno criminale può essere, come spesso accade in tali casi, l’inasprimento delle pene. Ma è davvero utile? Al quesito di Susi Ronchi ha risposto l’avvocato Dedola, per la quale non c’è dubbio che «non serve a niente», come da ultimo sta dimostrando l’omicidio stradale che, anzi, ha portato a un aumento del numero di persone che scappano e a un allungamento dei tempi di accertamento del reato.
LA POLITICA, CAUSA E (MANCATA) RISPOSTA – Qualunque discorso sugli attentati non può che tirare in ballo la politica, a un tempo concausa e soggetto chiamato a trovare soluzioni. Riguardo al primo punto, il prefetto Perrotta ha affermato che soprattutto gli attentati agli amministratori nascono dalla «alterazione del rapporto politico tra cittadino e istituzioni», che si manifesta in due aspetti: da un lato, c’è quella che potremmo chiamare “ignoranza civica” per cui il cittadino confonde il diritto (ad esempio, la possibilità di ottenere una licenza) con la «promessa da mantenere» che, se violata, “chiama” una reazione minatoria o punitiva; dall’altro, c’è la prassi del politico di impostare la campagna elettorale appunto su promesse, anziché su proposte concrete di sviluppo del territorio. Per il prefetto occorre, dunque, lavorare sui due fronti, educando la popolazione – anche con il supporto delle organizzazioni sociali, non solo politiche – e formando i candidati affinché impostino correttamente il loro rapporto con i cittadini.
Quanto al ruolo giocato nel contrastare il fenomeno, più volte i relatori hanno lamentato – se non denunciato – l’assenza della politica non solo nelle sedi di dibattito come questa ma anche nell’attuare concrete azioni di repressione e, ancor prima, di prevenzione. Per Susi Ronchi – che ha avuto modo di osservare l’approccio al problema adottato dai vari ministri dell’Interno che si sono susseguiti negli ultimi 20 anni – «c’è un rituale della politica sempre uguale a se stesso: stesse richieste da una parte, stesse promesse dall’altra». Non solo, a suo parere anche lo studio condotto da Mazzette e Pulino dimostra che «la politica non è riuscita a contrastare il problema né ad assicurare i responsabili alla giustizia».
Eloquente già il fatto che – come ha fatto notare ancora la giornalista – al dibattito non abbiano presenziato né l’Anci Sardegna né politici e amministratori locali in carica, ma solo ex. Assente persino il sindaco di Carbonia Paola Massidda, inclusa tra i relatori, la cui mancata partecipazione è parsa stupire persino gli organizzatori. Secondo Susi Ronchi, la politica è assente perché «si sta impoverendo, non sente più il bisogno di rivolgersi a persone più competenti». Non meno duro il giudizio di Maria Antonietta Mongiu, Presidente regionale del FAI ed ex Assessore regionale della Pubblica istruzione, beni culturali, informazione, spettacolo e sport: per lei, l’assenza degli amministratori in occasioni di confronto come questa «è mafia, è disconoscimento» ed è «tipica di istituzioni autoreferenziali e autoriferite».