Gli ordini professionali devono essere aboliti? Il parere di un esperto
Ordini si, ordini no: questo un dilemma che in questi giorni si sono posti gli amministratori del nostro paese ma anche i cittadini italiani che fanno parte degli ordini professionali e coloro che vorrebbero intraprendere la carriera di giornalista, avvocato, notaio, etc.
Noi abbiamo voluto chiedere l’opinione di un avvocato, il dott. Mimmo Meola, per far luce su questa situazione.
–Dott. Meola, cosa potrebbe cambiare per gli avvocati se venisse abolito l’ordine?
In un momento per la vita del Paese come quello attuale, dove il senso comune dei cittadini è poco incline a tollerare qualsiasi privilegio che si riconosca in qualche forma di “casta”, è gioco facile parlare di abolizione degli ordini professionali. In particolare dell’ordine degli avvocati. Ma un approccio obiettivo e non ideologizzato della questione, credo che suggerisca di evitare di fare demagogia parlando di “abolizione” tout court. Mi spiego meglio: ipotizzare cosa cambierebbe per gli avvocati se fosse abolito l’ordine è un quesito che non può essere affrontato sic et simpliciter senza immaginarlo nel contesto di una riforma organica della giustizia e delle professioni forensi.
–Secondo lei, rispetto al resto d’Europa l’Italia utilizza ancora una forma obsoleta per valorizzare professionisti come avvocati o giornalisti?
Ormai il valore delle libere professioni intellettuali rappresenta un punto di riferimento privilegiato per il sistema economico-sociale nazionale e dell’Unione Europea. Alla luce della nuova strategia di Lisbona l’ambito cui guardare, al fine di riuscire a garantire servizi sempre più efficienti e di qualità, è quello del mercato integrato in senso europeo. Ragione per cui l’Italia deve adeguarsi agli obiettivi fissati in sede di Unione Europea, non si tratta più di questioni esclusivamente nazionali.
-Molti definiscono gli ordini una casta, cosa ne pensa?
Non c’è dubbio che in un momento di crisi qualsiasi gruppo ristretto evoca alla mente l’immagine di una casta che tutela i propri privilegi. Ed in verità nel corso degli anni forse si è guardato più alla tenuta del sistema che ad una vera strategia di riforma dell’ordinamento forense. Ma probabilmente la demonizzazione e la colpevolizzazione di cui è stata oggetto l’avvocatura italiana è il frutto avvelenato di un gioco politico incapace di guardare ai reali bisogni dei cittadini e degli operatori del diritto. Nell’attuale fase credo che gli unici soggetti credibili siano, al di là, delle speculazioni politiche, magistrati e avvocati.
–I giovani che vogliono intraprendere la carriera di giurisprudenza avrebbero dei vantaggi secondo lei se venisse abolito l’ordine?
Non si può trascurare che nell’esercizio della professione di avvocato sia presente un rilevante interesse pubblico. Pensare ad una liberalizzazione selvaggia senza forme di regolamentazione e di controllo non rappresenta certo un vantaggio per gli aspiranti avvocati e per i cittadini. Quindi, come ho già detto, non credo che la panacea di tutti i mali sia l’abolizione dell’ordine. Va sicuramente ripensato, però, il rapporto, il quale ad oggi non esiste, che dovrebbe intercorrere tra università e mondo delle professioni. Credo che attualmente in Italia sia obsoleta l’organizzazione delle università con indirizzi giuridici. Inoltre, il sistema di accesso alla professione deve tendere a garantire la qualità del professionista, non a ridurre il numero degli aspiranti avvocati.
-Secondo lei è giusto, al di là di come andranno le cose, che chi fa parte di un ordine professionale debba pagare dei soldi per farne parte?
È chiaro che qualsiasi organo per potere funzionare sopporta dei costi, quindi non trovo nulla di anomalo nel pagamento delle quote di iscrizione di chi già esercita la professione. Problema diverso credo, invece, che si ponga rispetto ai praticanti per i quali non sono previste forme di compenso né sono obbligatori i rimborsi spese. Tali soggetti sono certamente l’anello debole della catena, e pagare onerosi contributi di iscrizione sembra una vessazione.
Giusy Chiello
Redattore capo
Chiedere ad un professionista, facente parte di una casta, se è favorevole o contrario all’abolizione degli ordini professionali è come chiedere all’oste sè buono il suo vino…la risposta è scontata
Senza voler polemizzare, nel massimo rispetto degli interlocutori, personalmente ritengo che abolire gli Ordini professionali è alquanto relativo, sia perché il “potere” di chi esercita resta “incontaminato” sia perché l’etica professionale è ovviamente soggettiva: non esiste Codice etico o deontologico al mondo che possa mutare la professionalità e l’etica del singolo. Sarebbe invece opportuno far rispettare, senza eccezioni, regole e norme giuridiche per evitare danni alla collettività causati dalla
non corretta professionalità in qualunque Disciplina.
Ernesto Bodini (giornalista scientifico freelance – biografo)
Senza voler polemizzare, nel massimo rispetto degli interlocutori, personalmente ritengo che abolire gli ordini professionali è alquanto relativo, sia perché il “potere” di chi esercita resta “incontaminato” sia perché l’etica professionale è ovviamente soggettiva: non esiste Codice etico o deontologico al mondo che possa mutare la professionalità e l’etica del singolo. Sarebbe invece opportuno far rispettare, senza eccezioni, regole e norme giuridiche per evitare danni alla collettività causati dalla non corretta professionalità i qualunque Disciplina.
Ernesto Bodini (giornalista scientifico freelance – biografo)