I SILLOGISMI CHE NON TORNANO

Di Marcella Onnis

La società in cui viviamo ci ha abituato, tra le altre cose, ad essere bombardati da sondaggi e statistiche che ormai riguardano tutto: l’’andamento dei prezzi al consumo, lo sport preferito dagli italiani, le previsioni di crescita del PIL, i gusti sessuali degli europei …

Non abbiamo bisogno, però, di questi studi per sapere che in Italia, come in altri Paesi occidentali, c’’è un alto tasso di ipocrisia: basta guardarsi un po’’ intorno per rendersene conto. Ci sono dittatori che accusano Stati senza dubbio più democratici di avere ordinamenti penali disumani. Ci sono pseudo-cattolici che protestano per un crocifisso levato da una scuola, ma che non trovano nulla da ridire quando quello stesso simbolo sacro troneggia sul decolleté troppo generosamente offerto da una diva della Tv. Ci sono governi che chiamano “missione di pace” l’’invio di truppe militari in un Paese straniero.

Ma se la pace è l’’opposto della guerra e se la guerra si fa con le armi, com’’è che eserciti armati dovrebbero portare la pace?! Il sillogismo non torna e non c’’è bisogno di menti illuminate per comprenderlo: la contraddizione è talmente lampante da saltare agli occhi persino di un bambino.

Un tempo, almeno su questo, c’’era più onestà: c’’erano il partito della guerra e quello della pace che, con argomenti più o meno validi e coerenti, cercavano di far valere (e prevalere) la propria posizione. Certo, da una parte c’’era chi faceva il furbo e, per sfuggire a pesanti responsabilità, diceva che sì, la guerra l’’appoggiava, ma che non l’aveva voluta lui, non da solo perlomeno. E dall’’altra parte c’’era chi condannava la guerra in quanto forma di violenza, ma non esitava ad appoggiare rivolte armate contro regimi oppressivi.

Tuttavia, allora l’’ipocrisia era l’’eccezione; oggi, invece, è diventata la regola.

Da che mondo è mondo, la pace segue sì la guerra, ma si costruisce e si mantiene senz’’armi. Non sono le divise, i mitra, le bombe ed i carri armati a garantirla, ma quell’’esercito – senza confini e senza tempo – fatto di uomini e donne che a loro unica difesa portano il proprio sorriso, il proprio amore ed i propri valori.

E sarebbe tempo di smetterla anche con la favoletta che grazie a queste “missioni di pace” si garantirà un futuro democratico ai Paesi “ospitanti”: la democrazia – – è insito nella parola stessa – – è una conquista del popolo, il risultato di un processo spontaneo che parte dal basso, per un’’autodeterminazione della cosiddetta base. Non è certo un bene che si può esportare come una qualunque merce, tantomeno imporre al potenziale destinatario. Questa “democrazia indotta”, se mai decollerà, è candidata ad avere vita breve, come le falsità propinate da chi queste missioni le ha volute. Perché, si sa, le bugie hanno le gambe corte.

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