Salvatore Verde “Il carcere manicomio”: libro-denuncia sui “crimini di pace” – 1^ parte
Il carcere manicomio esordisce con una serie di cifre e– pur non amandoli particolarmente – con i numeri voglio cominciare anch’io a parlarvi di questo saggio-denuncia di Salvatore Verde, sociologo e giudice onorario al Tribunale dei minori di Napoli.
Il numero delle persone recluse nelle carceri del nostro Paese al 31 dicembre 2010 era 67.971, al 31 maggio scorso 67.174 (fonte Ristretti orizzonti). Questa lieve flessione, tuttavia, è ancor meno incoraggiante di quanto si potrebbe pensare: nel periodo tra una rilevazione e l’altra, infatti, circa 1.500 persone sono uscite dal carcere, per scontare l’ultimo anno di pena a domicilio, grazie alla Legge n. 199/2010, meglio nota come “legge sfolla-carceri” (fonte Ristretti orizzonti).
Dunque siamo davanti a due criticità. La prima è che questo provvedimento legislativo non si è rivelato granché efficace, visto che – come ricorda Salvatore Verde – in fase di discussione della legge furono preventivati 9mila potenziali beneficiari. La seconda è che, nel giro di qualche mese, sono “finite dentro” altre 700 persone circa, quindi o la cultura dell’illegalità è sempre più diffusa o il nostro sistema penal-giudiziario diventa sempre più severo. O magari sono vere entrambe le cose. In ogni caso, qualunque sia la spiegazione del fenomeno, c’è molto di che preoccuparsi.
Se poi andiamo a vedere la capienza regolamentare delle nostre prigioni (ossia il numero massimo di soggetti che è possibile “ospitare” in una struttura senza violare gli «standard minimi fissati dalle normative internazionali in tema di rispetto dei diritti umani per le persone recluse»), il dato relativo al numero di detenuti effettivamente presenti nelle carceri risulta ancora più sconcertante: la capienza regolamentare era, infatti, pari a 44.073 persone/posti letto nel 2010 e attualmente è pari a 45.551 (fonte Ristretti orizzonti).
Questo libro ci rammenta anche che, per avere un’idea precisa di quante persone, nel nostro Paese, sono di fatto private della libertà, dovremmo prendere in considerazione l’intero “sistema di reclusione”, ossia il «complesso di quei luoghi, istituzionalmente normati, che coattivamente ospitano una certa quota della popolazione presente in un dato momento nel nostro territorio». Un sistema che comprende non solo le prigioni (rimaste a quota 206, come nel 2010) e gli istituti penali minorili (più di 40, per un totale di 426 ragazzi “ospitati” al 23 marzo 2011, cfr Ristretti orizzonti) ma anche i centri di detenzione per immigrati (che nel 2010 ammontavano 78).
E agli immigrati Salvatore Verde dedica diverse riflessioni, per la maggior parte assolutamente condivisibili e molto utili a metter in luce elementi che dovrebbero essere ovvi, ma che forse non sono tali per tutti. A mio parere, tuttavia, c’è in alcune pagine un’eccessiva responsabilizzazione dell’Italia per ciò che accade, una volta rimpatriati, agli immigrati clandestini che respingiamo. Trovo, cioè, una forzatura dire che se questi immigrati, arrivati in Libia, vengono imprigionati la colpa è dello Stato italiano, che agisce n modo tale che «un altro stato sovrano [realizzi] una nostra strategia di sicurezza». È vero, infatti, che il principio dell’accoglienza dovrebbe essere un valore indiscusso, ma è anche vero che sarebbe ipocrita continuare ad accogliere tutti i profughi, visto che non siamo assolutamente in grado di offrire a tutti condizioni di vita dignitose e opportunità concrete di inserimento sociale e lavorativo. Penso, ad esempio, ai vari immigrati dirottati da Lampedusa verso varie regioni, smistati come merce, accolti temporaneamente in strutture nuove e pulite, rifocillati e assistiti, infine abbandonati a se stessi con pochi euro in tasca, per garantire l’applicazione del turn over tra profughi. Quindi, se responsabilità esterne ci sono per quel che accade in Libia, direi che più che al nostro Paese vadano imputate agli altri Stati membri dell’Unione europea, che si ricordano dei vincoli di collaborazione solo al momento di chiedere e mai al momento di dare.
Marcella Onnis – redattrice