IL CONCETTO DI DIGNITÀ DA KANT AD OGGI
Le sagge considerazioni del filosofo tedesco a confronto con la continua evoluzione della denigrazione dell’uomo, tra conflitti, incomprensioni e assurdo dispotismo.
di Ernesto Bodini *
Insomma, si vuole considerare o no la dignità umana? Ma, anzitutto, cosa si intende per dignità della persona umana? In molti hanno cercato di dare una definizione più o meno razionale e univoca, ma pare essere più condivisibile quella suggerita dal filosofo Immanuel Kant (1724-1804 nell’immagine), il quale asseriva che «l’umanità (l’essere uomo) è essa stessa una dignità: l’uomo non può essere trattato dal suo pari o da se stesso come un semplice mezzo, ma deve essere trattato sempre anche come un fine. In ciò appunto consiste la sua dignità (personalità), ed è in tal modo che egli si eleva al di sopra di tutti gli esseri viventi che non sono uomini e possono servirgli da strumento…, egli non può essere considerato come un mezzo per i fini altrui, o anche per i propri fini, ma come un fine a se stesso, e cioè egli possiede una dignità (un valore interiore assoluto) mediante cui costringe tutte le altre creature ragionevoli al rispetto della sua persona e può misurarsi con ciascuna di esse e considerarsi eguale ad esse». Per estensione di questo nobile e profondo concetto, Kant sottolinea di essere contrario al concetto di dignità punire in modo disumano l’uomo malvagio: «Non posso rifiutare – precisa – neanche al malvagio il rispetto che gli devo in quanto uomo, perché il rispetto che gli è dovuto in quanto uomo non gli può essere tolto neanche se con i suoi atti se ne rende indegno». Affermazioni decisamente degne di un apprezzatissimo filosofo al quale tutti possiamo inchinarci, ma allo stesso tempo mi riesce difficile farle condividere e accettare da tutti coloro che hanno subìto ogni sorta di violenza e lesione alla loro dignità (oltre che fisica); tutte vittime (vedasi oggi l’osteggiato popolo ucraino, e tante altre altre popolazioni, di ieri e di oggi, sottomesse a dittatori e despoti) che hanno subìto le più infamanti e indescrivibili denigrazioni. Quindi, rispettare la dignità della persona significa trattare l’altro come il proprio Io. E va da sé che il rispetto della propria ed altrui dignità impone il diritto di ribellarsi contro il proprio asservimento; ed è questo il fondamento della proposizione della Dichiarazione dei Diritti Umani secondo cui l’uomo può “ribellarsi all’oppressione e alla tirannide”. A fronte di queste definizioni la nostra specie continua a mietere vittime. Si prenda ad esempio la continua escalation di delitti che, secondo Cesare Beccaria, è meglio prevenirli che punirli, fine principale d’ogni buona legislazione che, oltre alla logica, è l’arte di condurre gli uomini al massimo delle felicità (o almeno serenità) pur in presenza dei beni e dei mali della vita. Ma i mezzi tuttora impiegati, appaiono insufficienti per arginare questo fenomeno di fronte al quale la massa preferisce conviverci “serenamente” e aspettare tempi migliori. Intanto l’uomo soffre, subisce ed è privato della dignità, soffocato da pregiudizi, remore ingiustificate, incompetenze, avidità e ignoranza. Per prevenire delitti ed ogni altro reato dovrebbero bastare leggi chiare, semplici, comprensibili a chiunque e, ovviamente, applicarle in seduta stante senza se e senza ma. A riguardo il Beccaria ancora suggerisce che le leggi favoriscano meno le classi degli uomini piuttosto che gli uomini stessi, affinché questi le temano: il timore delle leggi è salutare, ma da come vanno le cose in Italia e in molti altri Paesi, per quanto le leggi siano severe, purtroppo non sortiscono alcun deterrente… a dispetto del nobile giurista milanese la cui saggezza oggi sarebbe ripudiata o quanto meno fuori luogo. Eppure, nel corso dei secoli si sono fatti progressi in fatto di emancipazione sociale, culturale e del diritto, ma a mio avviso paradossalmente fin troppi tanto che l’umanità ha fatto due passi avanti e tre indietro. Allora, come arginare questi eventi? C’è chi sostiene, ad esempio, che in Italia le carceri sarebbero da abolire perché non vengono rispettati determinati programmi rieducativi dei detenuti, nonostante siano garantiti dalla Costituzione. Questo orientamento, che per la verità ha pure un indirizzo politico, potrebbe avere in parte una sua “giustificazione” ma è indubbio che il rispetto della dignità e dei diritti dell’uomo deve essere garantito anzitutto dalla coscienza di ognuno di noi. Ma questo è sufficiente? Se diamo per scontato che, come sosteneva il Beccaria, i delitti più gravi sono quelli “contrari alla sicurezza” e proprietà degli individui, infine quelli che minano la pace sociale e la tranquillità dei cittadini, oggi sono gli stessi ma con il progresso e la globalizzazione se ne devono aggiungere altri a cominciare dal non rispetto della nostra Costituzione.
Il giovane giurista, autore de’ “Dei delitti delle pene”, precisava altresì che la punizione dovrebbe essere quella di prevenire crimini ulteriori. «Il deterrente della pena – osservava – nascerebbe soprattutto dalla sua certezza, dalla sua ineluttabilità e dalla rapidità con la quale la si infligge… l’infallibilità delle pene atte a scoraggiare dal commettere crimini coloro che ne sarebbero tentati». Per quello che riguarda la nostra realtà attuale la lungimiranza e la saggezza del Beccaria non vengono recepite minimamente come dimostrano alcune stuazioni: lentezza dei processi, sovraffollamento delle carceri, non certezza della pena, ingiuste detenzioni, indisciplina e abusi da parte di alcuni operatori penitenziari, etc. Richiamando il sommario di questo articolo, oggi si va incrementando sempre più il non rispetto della dignità delle persone e dei suoi diritti e, se non sono sufficienti le leggi a tutela e garanzia, beh, mi si lasci dire che le leggi inutili indeboliscono quelle necessarie. Concetto che ben si sposa con quanto sosteneva Armand-Jean du Plessis, duca di Richelieu (1585-1642), ossia «Promulgare una legge e non farla rispettare è come autorizzare la cosa che si vuole proibire». Un’ultima osservazione. Sino a non molti anni fa, chiunque finisse sui giornali per motivi di cronaca nera e/o giudiziaria (a torto o a ragione) subiva un patema d’anim0 tanto da andare in panico e vergognarsi; oggi, anche i reo confessi hanno un atteggiamento di sfrontatezza come se l’essere citati pubblicamente per le loro malefatte fosse un merito e un onore. Evidentemente costoro non conoscono nemmeno l’esistenza del termine dignità. E fra questi, a mio avviso, ne fa parte anche Mr Vladimir Putin.
*(giornalista e opinionista)