IL GIORNALISMO, OGGI, VISTO DA UN FREELANCE
Una nobile professione che richiede maggior etica e deontologia, peculiarità che talvolta sono in parte disattese a discapito della buona informazione. È però possibile rivalutarla individuando giornalisti meno “asserviti” alla politica e meno propensi ai “cospicui guadagni”
di Ernesto Bodini (giornalista scientifico, biografo, critico d’arte e opinionista)
Parlare di comunicazione sociale, ancorché di giornalismo specie se televisivo, non solo richiede competenze in merito agli argomenti in programma, ma anche il rispetto dell’etica e della deontologia. Si parla da anni di far frequentare ai giornalisti corsi di aggiornamento con relativi crediti formativi (Legge 148/2011 e Dpr 137/2012), ma poco o nulla si fa, ad esempio, per “stroncare” interventi inopportuni da parte degli ospiti-intervistati dai conduttori (quasi sempre sono giornalisti), in quanto talvolta decisamente volgari e che vanno oltre la liceità. Il fatto che certi personaggi producano audience (e relativi sponsor) perché assai noti al pubblico, o perché il loro modo di esporre suscita ilarità e particolare coinvolgimento (ed emulazione) proprio per il loro lessico, non mi sembra che ciò rientri nella buona etica dell’informazione la cui conduzione solitamente è demandata proprio ai giornalisti professionisti: è come dire che chi ha più voce in capitolo (anche come tono e volume) la fa da padrone. Inoltre in molti programmi televisivi i titoli di coda il più delle volte scorrono abbastanza velocemente, tanto che il telespettatore non ha il tempo di leggere i nomi che li compongono… e ciò a discapito della trasparenza. Per non parlare poi di alcuni giornali nei quali, leggendo alcuni articoli, si rileva il non rispetto della Carta di Trieste (inerente l’importanza del corretto uso dei termini sul disagio mentale), oltre alla diffusione di fake news e sensazionalismo… anche in tema di medicina e sanità. Ordunque, in cosa consiste il “vero” giornalismo? E soprattutto, chi si può reputare un giornalista di tutto punto? Senza nulla togliere agli specialisti nelle varie discipline, a mio avviso un particolare riguardo lo dedicherei ai cronisti (videoreporter compresi) operativi in zone di guerra, sempre più a rischio della propria vita, oltre a quelli che si dedicano costantemente all’infomazione scientifica soprattutto nell’ambito della Medicina e della Ricerca per aggiornarci sui progressi a favore della nostra salute e della nostra vita. La maggior parte dei professionisti sono ovviamente alle dipendenze di una Società editrice peraltro quasi sempre appartenente ad un orientamento politico ben preciso, mentre sono una minoranza i cosiddetti freelance, ossia liberi professionisti, talvolta pagati a “pezzo”, in altri casi collaboratori occasionali poco remunerati, e spesso a titolo gratuito specie dalla cosiddetta stampa minore e/o associativa. Leggendo molto tutti i giorni quotidiani, settimanali e libri, e avendo maturato circa sette lustri di attività divulgativa, mi sento di sottolineare che sarebbe ora di fare qualche distinguo, anche se potrei incontrare dissensii; ma non si può negare le fuorvianze di un certo giornalismo, soprattutto quello appartenente ad un determimato filone politico; mentre molto più “indifeso” e soprattutto ben poco considerato è il freelance, specie se non pagato (per scelta o meno) dalla Testata Editrice. Posso anche aggiungere che nel nostro Paese quello che si può considerare un giornalismo di punta e di elevata professionalità appartiene ormai al passato, più o meno recente; ossia, le cosidette “belle firme” autrici di eleganti elzeviri (splendore e miseria di quella che fu la famosa Terza Pagina) di alcuni quotidiani che hanno fatto storia, una storia che non si sta però ripetendo… Tralasciando di citare qualche bel nome, le mie osservazioni includono amarezza e, ai più severi in fatto di giudizio, verrebbe da chiedere: è più importante un giornalista dipendente e pagato o un giornalista freelance ancorché non pagato? Per rispondere a questa domanda basterebbe fare la seguente considerazione.
Si provi, per esempio, ad ipotizzare un direttore responsabile di una importante testata nazionale a dirigere un modesto giornale associativo di provincia, ben presto sarà dimenticato dai lettori; al contrario, si nomini direttore responsabile di una testata importante un giornalista sconosciuto al pubblico, e si noterà che nel giro di pochi mesi diventerà un professionista di riferimento per i suoi lettori. In questi anni ho scritto per diversi periodici in gran parte su base non profit, ed ho sempre mantenuto competenza e una condotta etica e deontologica di tutto rispetto; ma il fatto di aver avuto pochi lettori non mi ha procurato alcun censo, ad eccezione di pochissimi lettori che mi hanno letto, seguito e commentato più o meno costantemente. Ho scritto anche per qualche periodico previo compenso (per la verità assai modesto), ma ciò nonostante non sono mai diventato un giornalista di punta… (non è mai stata questa la mia ambizione) e ciò non mi ha fatto sentire inferiore ad alcuno. Quindi, sono sempre stato fiero del mio percorso professionale privo di quella esultante notorietà, e ciò con fierezza che è parte integrante (a mio avviso) di un giornalismo “più vero” perché più sobrio… lontano dalla smania di scoop, e certamente non meno professionale di altri. Infine, in tutti questi anni non nego di aver ricevuto alcune attestazioni di riconoscimento, che ho certamente gradito e riposto nei miei archivi; ma in assenza delle quali non mi sarei comunque scomposto in quanto ho sempre ritenuto essere un mio preciso dovere fare informazione, sia attraverso l’esercizio della professione giornalistica che della comunicazione verbale in occasione di convegni e conferenze, soprattutto in ambito medico-sanitario e culturale in senso lato. In buona sostanza, proporsi verso il prossimo per informarlo è una grande responsabilità, indipendentemente da qualunque intesa contrattuale o di vincolo editoriale… politica a parte.