IL LAVORO E’ UN DIRITTO PER TUTTI NESSUN ESCLUSO
Ci hanno scritto e volentieri pubblichiamo.
52 ANNI E SI NOTANO, E’ ANCHE VERO CHE LA L. 300 é CONSIDERATA UN REPERTO STORICO (quando la classe lavoratrice chiedeva libertà e dignità dentro i posti di lavoro ) allora per gli smemorati serve un piccolo memorandum su DIRITTO AL LAVORO e ART.15 dello STATUTO DEI LAVORATORI :SENZA L’ART.15 sarebbe stata dura molto dura, lo è ancora adesso con leggi inapplicate e deroghe agli imprenditori , con Centri per l’impiego non funzionanti e precarietà incentivata .
Per la maggioranza delle persone con disabilità il lavoro è un miraggio , ma GRAZIE STATUTO DEI LAVORATORI! E GRAZIE A CHI HA LOTTATO.
Vademecum sulle norme di inclusione:
Non porre in essere discriminazioni, sia di tipo diretto, sia di tipo indiretto PARITÀ DI TRATTAMENTO , DIRITTO AL LAVOROL’art. 15 dello Statuto dei Lavoratori dispone che debba ritenersi nullo qualsiasi patto o atto diretto a subordinare l’occupazione di un lavoratore ovvero a licenziarlo o discriminarlo nell’assegnazione di qualifiche o mansioni, nei trasferimenti, nei provvedimenti disciplinari o recargli altrimenti pregiudizio anche sulla base di motivi di genere, handicap, età, orientamento sessuale o convinzioni personali”. La discriminazione contro il disabile nel rapporto di lavoro privato e la sua abolizione con l’articolo 15 dello Statuto dei lavoratori come modificato con l’articolo 4, comma 1, del dl 9 luglio 2003, n. 216, in attuazione della Direttiva 2000/78/Ce. La tutela del disabile, nell’ambito del rapporto di lavoro privato, si realizza anch’essa, in maniera del tutto simile a ciò che è accaduto per il rapporto di pubblico impiego, attraverso un processo di integrazione legislativa del regolamento contrattuale, iniziato nei primi anni sessanta. L’originario testo dell’articolo 15 della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Statuto dei lavoratori), posto a disciplina degli atti discriminatori, sancisce soltanto la nullità di qualsiasi patto diretto a subordinare l’occupazione di un lavoratore alla condizione che aderisca o non aderisca ad un’associazione sindacale ovvero cessi di farne parte, ovvero di qualsiasi patto diretto a licenziare o comunque a pregiudicare un lavoratore a causa della sua posizione sindacale oppure della sua partecipazione ad uno sciopero. Con l’articolo 15 dello Statuto, pur nella sua originaria versione, la tutela del lavoratore compie un notevole passo avanti rispetto all’articolo 4 della famosa legge 15 luglio 1966, n. 604, in tema di licenziamenti individuali, che sancì per la prima volta, nel nostro ordinamento, la fine del potere indiscriminato di licenziamento del datore di lavoro, configurando come inefficace il licenziamento privo di giusta causa o di giustificato motivo. Tale ultima norma colmò almeno in parte la mancata costituzionalizzazione del diritto del lavoro, come fu rilevato da Ugo Natoli: il giurista che, già nei primissimi anni cinquanta del secolo scorso, sostenne, in occasione di un celebre caso verificatosi all’interno della Fiat proprio in quegli anni (il caso Santhià), la nullità dei licenziamenti per ragioni politiche o sindacali sulla base dell’applicazione diretta dell’articolo 41 Cost., considerando il precetto costituzionale come norma imperativa posta a disciplina della fattispecie negoziale del recesso del datore di lavoro. Successivamente, con l’articolo 13 della legge 9 dicembre 1977, n. 903, viene estesa finalmente la tutela di cui all’articolo 15 dello Statuto alla discriminazione politica, religiosa, razziale, di lingua o di sesso. Ma solo dopo circa ventisei anni, con l’articolo 4, comma 1, del dl 9 luglio 2003, n. 216, in attuazione della Direttiva 2000/78/Ce per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, quella tutela viene estesa alle discriminazioni basate sull’handicap, sull’età oppure sull’orientamento sessuale o sulle condizioni personali.In definitiva, anche per il rapporto di lavoro privato, soltanto all’inizio del XXI secolo, il lungo silenzio sulla discriminazione del disabile è venuto meno non per una dinamica interna al nostro ordinamento, ma grazie a sopraggiunte disposizioni di diritto comunitario. https://www.questionegiustizia.it/…/la-partecipazione…
Paolo De Luca per C.D .dell’APIC