Il medico: una scelta che ha sempre bisogno di sostegno e conforto
Una professione ancestrale con potenzialità e limiti. Le notevoli “viarianti” della condizione di essere e fare il medico richiedono immedesimazione ma anche maggior conoscenza del suo ruolo
di Ernesto Bodini
(giornalista scientifico)
Sono sempre più ricorrenti le citazioni come medici in prima linea, medici precari, medici sotto stress, medici che si ammalano e costretti ad abbandonare, medici che sia pur molto raramente perdono la vita a causa della professione, medici “super-parcellizzati”, medici burocrati (nel senso più stretto del significato), medici in carriera, medici-politici, medici inquisiti e, più raramente, medici che gettano la spugna, e medici sempre meno attratti dal “mestiere” di chirurgo in particolare nell’ambito dei trapianti.
Infatti, come afferma il prof. Franco Citterio, presidente della Società Italiana dei Trapianti (Corriere della Sera dell’11 gennaio scorso): «I giovani che vogliono fare chirurgia sono già pochi. Quelli che vogliono dedicarsi ai trapianti poi sono pochissimi, perché la nostra è una vitaccia e richiede notevole disponibilità e sacrificio. Operiamo pazienti complessi, in situazioni complicate. È una chirurgia difficile. In cambio, siamo trattati come i dermatologi. I trapianti sono sempre stati visti come un fiore all’occhiello, ma non sono mai stati sistematicamente favoriti e incentivati». Senza entrare nel merito delle singole “situazioni”, indipendentemente dal fatto di essere un potenziale paziente e, in questo caso, un assiduo divulgatore in materie medico-scientifiche e sanitarie, ma immedesimandomi in quella comune scelta di fare il medico, a tutti costoro vorrei idealmente “ricondurli” ad una sorta di memoria storica riproponendo loro la bellissima e assai “cristiana” Preghiera quotidiana del medico di Mosé Ben Maimoun (Maimonide), medico ebreo, spagnolo, del XII secolo. E ciò con l’auspicio che, se recitata soprattutto prima di affrontare un atto medico e/o chirurgico di un certo impegno, possa sostenerli interiormente e trovare il massimo conforto nella loro dedizione, qualunque sia il loro credo: laico oppure no. Ecco il testo integrale.
“Dio Onnipotente, Tu hai creato il corpo umano con infinita sapienza. Diecimila organi per diecimila volte hai combinati in esso, perché agendo incessantemente e con armonia ne perseverino l’insieme in tutta la sua bellezza: il corpo, involucro dell’anima immortale. E agiscono sempre con un ordine perfetto e in un armonioso accordo. Ma quando la fragilità della materia o l’impeto delle passioni ne sconvolgono l’ordine o ne interrompono l’accordo, le forze si scontrano e il corpo crolla per tornare nella polvere dalla quale è venuto. Tu mandi all’uomo le malattie quali benefici messaggeri per avvertirlo del pericolo che lo minaccia e perché lo sollecitino ad evitarlo.
Tu hai benedetto la Tua terra, i Tuoi fiumi e le Tue montagne con sostanze benefiche che permettono alle Tue creature di alleviare le loro sofferenze e guarire le malattie. Tu hai dotato l’uomo di saggezza, perché possa lenire il dolore del fratello, individuarne i disturbi, estrarre dalla natura le sostanze medicamentose, scoprirne il potere, prepararle e somministrarle a seconda della malattia. Nella Tua Eterna Provvidenza, Tu hai scelto me per vigilare sulla vita e sulla salute delle Tue creature. Ora sto per dedicarmi ai compiti della mia professione. Sostienimi, o Dio Onnipotente, in questa importante impresa, affinché io possa essere di giovamento all’umanità, poiché senza il Tuo aiuto nulla potrà aver buon esito, neppure la più piccola cosa.
Infondi in me l’amore per la mia arte e per le Tue creature. Non permettere che la sete di guadagno, l’ambizione di essere noto e ammirato, ostacolino la mia professione, poiché questi sono i nemici della verità e dell’amore per l’umanità e potrebbero sviarmi dal grande compito di dedicarmi al benessere delle Tue creature. Conserva al mio corpo e alla mia anima la forza necessaria per essere sempre pronto ad aiutare serenamente e ad assistere sia i ricchi che i poveri, i buoni come i cattivi, i nemici come gli amici. In colui che soffre, concedimi di vedere solamente l’essere umano. Illumina la mia mente perché veda con chiarezza ciò che le sta davanti e intuisca ciò che è assente o nascosto.
Fa che possa riconoscere ciò che è visibile, ma non permetterle di arrogarsi il potere di vedere ciò che non può essere visto: delicati e infiniti sono infatti i confini di quella grande arte che è la cura della vita e della salute delle Tue creature. Fa che io non mi distragga mai. Che nessun pensiero estraneo svii la mia attenzione al capezzale del malato, né disturbi il silenzioso lavoro della mia mente, perché grandi e sacre sono le profonde deliberazioni necessarie per vigilare sulla vita e sulla salute delle Tue creature. Fa che i miei pazienti abbiano fiducia sia in me che nella mia arte, e seguano le mie istruzioni e i miei consigli. Allontana da loro tutti i ciarlatani, la moltitudine di parenti premurosi e di infermieri saccenti, tutta gente crudele che rende inutili con la sua arroganza gli intenti più assennati della nostra arte e spesso porta le Tue creature alla morte.
Se qualcuno più saggio di me volesse migliorarmi e consigliarmi, fa che la mia anima segua con gratitudine la sua guida; perché vasta è l’estensione della nostra arte. Se però qualche sciocco presuntuoso impedisse con la sua critica il mio lavoro, fa che l’amore per la mia arte mi dia il coraggio incrollabile di affrontarlo e di continuare risoluto senza alcun riguardo per la sua età, reputazione, fama, perché se mi arrendessi le Tue creature soccomberebbero alla malattia e alla morte. Riempi la mia anima di gentilezza e di calma quando colleghi più anziani, forti della loro e se dovessero soppiantarmi, disdegnarmi o ammaestrami con atteggiamento sprezzante. Fa che io possa giovarmi anche di questo, perché loro sanno molte cose che io ignoro, ma aiutami a non soffrire per la loro arroganza. Perché loro sono vecchi, e la vecchiaia non è padrona delle passioni. Anch’io spero di poter giungere alla vecchiaia su questa terra, davanti a Te, o Dio Onnipotente.
Fammi essere soddisfatto di ogni cosa, eccetto della grande scienza della mia professione. Non permettere che nasca in me il pensiero di aver raggiunto una conoscenza sufficiente, ma concedimi la forza, la possibilità e l’ambizione di ampliarla sempre di più. Perché l’arte è grande, ma la mente dell’uomo è in continua espansione. Oh! Dio Onnipotente! Tu mi hai scelto nella Tua misericordia per vigilare sulla vita e sulla morte delle Tue creature. Adesso io mi dedicherò all’esercizio della mi professione. Sostienimi in questo grande compito, affinché l’umanità possa beneficiarne, poiché senza il Tuo aiuto neppure la più piccola cosa potrà aver buon esito”.
Se il medico è per sua natura “l’uomo della speranza” e se, come diceva Sant’Agostino (354-430): «la speranza è il presente del futuro», la stessa per il paziente si trasforma in fiduciosa attesa; un’attesa che viene appagata dall’esercizio della medicina che implica i concetti di cura competente, cura interessata, cura attenta, cura premurosa, cura amichevole, cura servizievole, cura custode. Un insieme di atteggiamenti che fanno del medico l’uomo più completo, in grado di riconoscere il valore assoluto dell’esistenza umana e di essa il massimo rispetto.