Dal libro al palco: il Peppino di Francesco Abate è tornato a Cagliari

di Marcella Onnis

Ci sono parole così abusate, bistrattate, fraintese, svilite, che si fa fatica ad usarle anche quando sono le più appropriate per esprimere un concetto. Emozione, per esempio: un termine bellissimo che, però, ad usarlo oggi ci si sente un po’ patetici. Ma è proprio questa la parola che meglio può sintetizzare il reading-spettacolo che giovedì scorso è andato in scena al teatro “La Vetreria” di Pirri (Cagliari): la prima tappa del tour che, dopo la presentazione ufficiale al Festivaletteratura di Mantova, porterà in giro per l’Italia Un posto anche per me, il nuovo romanzo di Francesco Abate.
La serata – inserita nel festival letterario diffuso Éntula, ideato dall’associazione culturale Lìberos – è stata organizzata dall’associazione culturale Kuntra e dalla Prometeo Aitf onlus, l’associazione dei trapiantati di fegato della Sardegna.

Ed è stato proprio il presidente della Prometeo Aitf onlus, Giuseppe Argiolas, il primo a condividere con il pubblico la sua emozione. Le sue parole hanno voluto essere un ringraziamento innanzitutto per Francesco Abate, che «ha fatto conoscere a tanti cosa significa essere trapiantati, cosa significano solidarietà, dolore, rinascita…». Non solo: «Gli siamo grati – ha aggiunto – perché parla degli ultimi. E noi prendiamo questo esempio di solidarietà e lo portiamo a voi.» E alla solidarietà è legato anche un altro suo ringraziamento, non meno significativo, rivolto alla  famiglia di un donatore che ha avuto modo di incontrare di recente. Questa famiglia gli ha così motivato la scelta di donare gli organi del proprio caro: «Lui ce lo aveva detto, abbiamo rispettato la sua volontà. Non abbiamo fatto niente di eccezionale, non siamo eroi, abbiamo fatto quello che tutti dovrebbero fare.» Le ultime parole di Argiolas sono state, dunque, tutte per queste persone dal cuore grande, che hanno scelto di non chiudersi nel dolore: «Se qualcuno mi chiedesse cos’è la solidarietà, risponderei: “È questa famiglia sarda”.»
Per l’associazione da lui rappresentata non poteva esserci modo più bello di riprendere ufficialmente, dopo la pausa estiva, la sua attività di sensibilizzazione sulla donazione degli organi e di informazione sui trapianti. Compito che, come ha ricordato Argiolas, porta sempre avanti con l’imprescindibile collaborazione del personale sanitario coinvolto in queste delicate e preziose operazioni.

Dopo il suo saluto iniziale, il sipario si è aperto su queste immagini:


Dal video al palco: dopo l’ultimo fotogramma, Peppino era lì, al centro della scena, con la sua immancabile cuffia per tener lontana la sinusite. Non Nicola Nocella, no: proprio Peppino, con il suo carico di timidezza ed entusiasmo, con i suoi modi impacciati che ispirano tenerezza, con il suo tormentarsi le dita e stentare a pronunciare certe parole.
Per lui, più che per chiunque altro, è stata assoluta l’attenzione del pubblico. Forse per il rispetto che tutti sentivano di dovergli portare, forse per la strabiliante capacità interpretativa di Nocella o forse per entrambe le cose, l’atmosfera si è fatta quasi magica. E anche ridere quando proprio ci sarebbe stato – perché leggendo l’abbiamo fatto,  magari rumorosamente – sembrava inopportuno, quasi che si potesse rompere l’incanto. Persino dopo che Abate, con qualche battuta ha di fatto dato il via libera alle risate, il pubblico si è lasciato andare sì, ma senza esagerare. Perché davanti  a certi prodigi si resta senza parole e senza fiato. E Nocella è un prodigio: è stato più Peppino di Peppino, ma è stato anche un po’ suo padre Bruno (con il suo lato tenero e con il suo lato cattivo) e la sua Nonna Giovane (con quella rudezza in cui è difficile trovare tracce d’affetto). Fedele ad ogni personaggio e credibile persino quando parlava in sardo.

Peppino, però, non è stato lasciato solo sul palco. Sul lato sinistro del palco, Stefano Guzzetti, autore della bella colonna sonora di Un posto anche per me, e Matteo Sau, che con la sua virtuosa chitarra accompagna da tempo Abate nei suoi tour: due presenze discrete ma imprescindibili, perché senza le loro musiche l’atmosfera non sarebbe stata così speciale.

Più a destra, su una panchina, Irene Nonis, voce e autrice di alcuni brani della colonna sonora. Si è alternata sotto il fascio di luce e sulla panchina con Peppino, dando il cambio alle sue parole con il proprio canto,  che dal vivo è risultato ancora più vibrante e intenso. Nelle orecchie a lungo ha risuonato un passaggio di Un posto (eseguita con un arrangiamento  speciale per l’occasione, che Frisco ha scherzosamente battezzato Remix Vetreria version):  quel “pugni chiusi, pugni stretti, quattro lune dell’obbedienza” che richiama un passaggio del romanzo che nitidamente tratteggia la personalità e il destino di Peppino («Avrei dovuto chiudere la bocca e trattenere forte dentro di me tutti i dubbi senza lasciarli fuggire via. Nello scrigno dei dolori e dei rimpianti, fra il cuore e il costato, proprio dove aveva la ferita Gesù. Toccava serrare i pugni, ficcare le unghie nei palmi e non fiatare. Zitto e mosca. Come oggi ho imparato a fare. Quando stringi forte, le unghie lasciano segni rossi e profondi. Sembrano quattro lune per mano. Le Lune segrete dell’obbedienza.»)
La cantante è stata Irene ma anche un po’ Marisa, soprattutto quando Peppino, andando a sedersi, le ha porto cortese il microfono, lei lo ha preso e, una volta avutolo accanto, gli ha poggiato dolcemente il capo sulla spalla. Guzzetti ha fatto partire il suono della pioggia che scroscia e, in quell’atmosfera tristemente romantica, lei gli ha cantato ancora “Un posto anche per te”,  per poi sussurrargli «Vai, Peppino, vai». E Peppino è andato: si è sistemato di nuovo sotto il fascio di luce e, con il sostegno di Marisa, ha trovato il coraggio di parlare di quel suo lato oscuro che fa paura anche a lui, ma che forse nasce dalla sua tanta (troppa?) sensibilità.

Accanto alla loro panchina, però, c’erano anche una palina arancione del CTM (l’azienda che gestisce il trasporto pubblico locale a Cagliari) e, ancora più a destra, i “passeggeri degli autobus”, anzi, degli auti, come dicono a Roma (auti anche al singolare, ha precisato Abate). Perché è con questi mezzi che Peppino – cagliaritano trapiantato nella Capitale – si sposta in questa città ed è principalmente durante questi viaggi che, lungo le pagine del libro, ci svela la sua storia.

L’autore è stato l’ultimo a fare il suon ingresso sul palco e si è premurato di non rubare la scena alla sua creatura, coerentemente con la scelta fatta nel romanzo, dove è il suo “Principe degli ultimi” a parlare in prima persona. Ha quindi riservato a sé il compito di raccontare al pubblico quello che Peppino non può sapere: com’è nata la sua storia. Come o meglio dove: negli ospedali, ha spiegato lo scrittore, dove è entrato a contatto con le persone più varie, anche quelle con cui magari , fuori da lì, non avrebbe avuto a che fare, perché «la malattia è un po’ una livella.» È stato in quei momenti che ha pensato: «Voglio scrivere un libro che sia un risarcimento per tutti noi, ma mi serve una faccia che rappresenti tutti quanti.» La faccia l’ha trovata al cinema, grazie a Il figlio più piccolo di Pupi Avati: Nicola Nocella, appunto. A questo volto, a questo personaggio ha deciso di affidare un compito oneroso: «Peppino si farà carico di tutti i Peppino che ho incontrato nella vita.» E, per dare continuità al percorso intrapreso con Chiedo scusa ed È colpa tua, ha voluto attuare anche questo risarcimento raccontando la storia di un bambino.

Ma questa è anche «una storia di amici», come ha più volte rimarcato Abate. Innanzitutto, perché nata da un’idea – come è ormai noto ai più – del suo amico Valerio Mastandrea.  Un’idea nata per un film che non ha mai visto la luce e che lui gli raccontò per la prima volta durante il tour di Chiedo scusa, «per questo – ha affermato lo scrittore – il libro è figlio di quel romanzo.»

Grazie ad un amico è nata, grazie ad altri amici questa storia è cresciuta, strabordando  i confini della carta stampata. Tra questi, Alessandro Toscano, regista e sceneggiatore del booktrailer insieme a Valentina Vannicola (non presente alla serata ma citata dal collega). Con lui Abate ha svolto il lavoro di documentazione sul campo necessario per rendere credibile quanto narrato in Un posto anche per me. Insieme hanno viaggiato per un lungo periodo sugli auti, soprattutto di notte,  e per questo lo scrittore ha affidato a lui, fino a quel momento confuso tra i “passeggeri dell’autobus”, il compito di raccontare questa esperienza. «Roma – ha detto – è una città che se vuole può renderti protagonista. Magari prendendoti in giro, ma sempre facendoti sorridere.» Poi ha raccontato un aneddoto divertente (riportato con poche variazioni nel romanzo), per tornare quindi al punto di partenza: Roma ti fa sorridere ma è anche «una città che sa rendere tutto difficile e la vita molto dura. Rende gli ultimi più ultimi, gli invisibili più invisibili. Credo che Peppino racconti una di queste storie.» E poi ha aggiunto, in chiusura, che «gli invisibili nascondono sempre una grandissima dose di poesia e di umanità.» Vero, ma non è da tutti saperla cogliere e metterla in risalto, come hanno fatto loro.

Francesco Abate ha dato spazio a tutti gli amici che, a vario titolo, hanno contribuito alla realizzazione di questo complesso progetto artistico, ma ha voluto pure ricordare quelli da cui si è dovuto, suo malgrado, separare negli ultimi tempi.
Ad uno, in particolare, ha dedicato questo nuovo libro e uno degli ultimi pensieri della serata. Si tratta di una persona scomparsa l’anno scorso, che ha conosciuto grazie ad un’altra amica: Michela Murgia. A lei, invitata da lui a sedersi tra i “passeggeri dell’autobus” e rimasta però nascosta dal tendone, ha chiesto di pronunciarne il nome. E lei, con voce incrinata dall’emozione, capace di rivelare in pochi secondi un lato privato molto più dolce e riservato del suo vulcanico profilo pubblico, l’ha fatto: Delfio Dovetta. «Delfio Dovetta, libraio» ha ripetuto Abate.

Poi ancora la voce di Irene Nonis e, infine, gli applausi. Lunghi e meritatissimi.

 

 

La foto di Peppino-Nocella è di Giuseppe Argiolas

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