Il potere delle parole secondo Carofiglio e Zagrebelsky

“Ripetete una cosa qualsiasi cento, mille, un milione di volte e diventerà verità”, così sosteneva Joseph Goebbels, ministro della propaganda ai tempi della Germania nazista. Non tutti forse conoscono questa sua regola, ma di certo sono pochi quelli che potrebbero negarne l’efficacia e pochissimi quelli così stolti da sostenere che a tutt’oggi non sia largamente utilizzata. Ragionando all’inverso, però, quest’affermazione ci insegna anche – come fa notare l’illustre costituzionalista Gustavo Zagrebelsky nel suo recente saggio Sulla lingua del tempo presente – che “ciò che non potrebbe essere diverso non merita di essere detto”.

Che le parole siano un mezzo potente è abbastanza risaputo, ma il fatto che in questo periodo il dibattito sul tema sia particolarmente acceso probabilmente sta a significare che la percezione di quanto siamo succubi del cattivo uso che ne viene fatto non sia così diffusa. Non può, infatti, essere una pura coincidenza che anche lo scrittore Gianrico Carofiglio abbia dedicato a questo argomento il suo ultimo libro, La manomissione delle parole.

Quelle citate sono sicuramente due letture utili per chiunque (perché tutti usiamo le parole, fosse anche solo per una banale conversazione con il vicino di casa) e fondamentali per tutti coloro che delle parole hanno fatto il proprio strumento di lavoro o la propria passione.

La ragione è semplice: è necessario aprire gli occhi (o riaprirli, perché ci sono cose che sappiamo, ma che tendiamo a scordare o comunque ad ignorare) su alcuni fenomeni inquietanti che riguardano il nostro linguaggio e di cui siamo al contempo vittime e attori tendenzialmente inconsapevoli.

Quanto a tecnica e stile, le due opere sono piuttosto differenti. La prima, meno pubblicizzata ma non per questo meno valida, si presenta come un saggio tradizionale e ha un taglio più “scientifico”. La seconda, scritta con il prezioso supporto della filologa Margherita Losacco, si potrebbe definire un “saggio letterario”, ma etichettarla è difficile anche per lo stesso autore. Aldilà delle definizioni, si tratta sicuramente di uno scritto più accattivante (seppure non meno impegnativo) rispetto all’altro, sia per lo stile che per la ricchezza delle citazioni, adatte a tutti i palati: da Tucidide a Dante, da Hannah Arendt a Primo Levi, passando per Bob Dylan e Bob Marley, solo per fare alcuni nomi.

Guardando al contenuto, però, i punti di contatto sono tantissimi, soprattutto – e questo è il fatto più inquietante – quando si tratta di fare esempi di parole ed espressioni sibilline, ormai entrate nel vocabolario comune, quali “scendere in campo/in politica”, “il presidente eletto dal popolo/il presidente degli italiani”, “assolutamente”, “politica/governo del fare”, “le tasche degli italiani”, “democrazia”, “libertà” … Per non parlare dell’ormai famoso binomio “partito dell’amore/partito dell’odio” che già a tanti di noi suonava ridicolo e che, dopo queste letture, apparirà molto pericoloso.

A conferma che i due scritti viaggiano sulla stessa lunghezza d’onda, sta anche il fatto che Carofiglio cita più volte Zagrebelsky, ricordando, ad esempio, che nel suo famoso Decalogo della democrazia egli ha incluso la “cura delle parole”.

Entrambi gli autori, soprattutto lo scrittore barese, evidenziano, inoltre, l’importanza di garantire a tutti l’istruzione perché istruzione = capacità di esprimersi = possibilità di partecipare attivamente alla vita, sia privata che pubblica.

C’è poi da parte di questi due uomini di legge (per chi non lo sapesse, Carofiglio è un magistrato) un’accorata difesa del diritto, comprese le norme che impongono i tributi, e di quello che è il suo ruolo originario ossia garantire che tutti gli uomini siano uguali e liberi. Molto belle sono anche le pagine che l’uno e l’altro dedicano alla nostra Costituzione, attraverso un’analisi linguistica, giuridica e politica che ne mette in risalto tutto il valore e che fa da autorevole contraltare ai giudizi miopi e spesso ignoranti secondo cui si tratterebbe di  un documento antiquato o comunque privo di utilità pratica.

Altro inquietante punto di contatto è il saggio LTI. La lingua del Terzo Reich del filologo Victor Klemperer, che tanto per Zagrebelsky quanto per Carofiglio contiene molteplici chiavi di lettura di quello che è il nostro attuale contesto storico e politico.

I riferimenti ad un determinato personaggio italiano abbondano e il celebre costituzionalista non ha neppure bisogno di farne il nome, tuttavia sarebbe sbagliato considerare i due saggi opere a contenuto politico: la disapprovazione per l’uso “malato ” delle parole è, infatti, estesa ad entrambi gli schieramenti, l’uno colpevole di averne fatto la propria arma, l’altro colpevole di non averlo mai contestato e di aver anzi finito con l’adottarlo come propria modalità espressiva. Del resto, se  una coalizione definisce l’altra “partito dell’odio” e questa, a sua volta, etichetta il proprio avversario come “anomalia” è chiaro a tutti che i politici di oggi sono incapaci di instaurare una sana dialettica e di avviare uno scontro costruttivo.

Almeno noi, “gente comune”, dobbiamo dunque imparare a diffidare di chi si presenta come “uomo della provvidenza” (soprattutto se opera in politica) e a concentrarci tanto sulle parole dette quanto su quelle non dette. Ma soprattutto dobbiamo smettere di accettare passivamente questa degenerazione del linguaggio e ribellarci, dando al “no” un valore costruttivo e facendo sì che ad ogni parola sia riattribuito il significato che le è proprio. Dobbiamo, cioè, cominciare a manipolare le parole, intendendo con ciò quell’operazione che Carofiglio descrive così nel suo romanzo Ragionevoli dubbi (in un passaggio che è diventato lo spunto per quest’ultimo saggio): “[…] chiamiamo “manomissione” questa operazione di rottura e ricostruzione.  La parola manomissione ha due significati, in apparenza molto diversi. Nel primo significato essa è sinonimo di alterazione, violazione, danneggiamento. Nel secondo, che discende direttamente dall’antico diritto romano (manomissione era la cerimonia con cui uno schiavo veniva liberato) essa è sinonimo di liberazione, riscatto, emancipazione.”

Marcella Onnis

Redattrice – marcella.onnis@ilmiogiornale.org

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