Il precariato medico sotto i riflettori. Una ingiustizia per il professionista ma anche per l’assistito
Fino a quando la Sanità italiana è totale garanzia di assistenza medica?
Più intraprendenza e determinazione nel far conoscere il problema
di Ernesto Bodini
(giornalista scientifico)
La crisi politico-economica e finanziaria che sta soffocando e umiliando il nostro Paese, quasi affondandolo in una conclamata recessione, non risparmia soprattutto la “forza lavoro” ovvero tutti i potenziali lavoratori: sia i veri e propri disoccupati che i lavoratori precari (esodati compresi), in particolare i dipendenti della Pubblica Amministrazione (P.A.). Tra questi il personale sanitario (medici e infermieri). Ma perché parlare di precariato sanitario? Negli anni ’50 e ‘60, è utile ricordare, il precariato era una condizione di “normalità” negli ospedali in quanto in ogni Reparto c’era solo una figura medica stabile, ossia il Primario; l’Aiuto e gli Assistenti erano invece provvisori ed instabili perché dopo 4 anni (l’Aiuto) e dopo 2 anni (gli Assistenti), rinnovabili una sola volta, dovevano uscire dall’ospedale o trovare un posto di Aiuto, altrove. Alla fine degli anni ’80 abbiamo assistito “all’exploit” del debito pubblico; nel 1992, la Riforma De Lorenzo, con la revisione dell’assetto delle ULSS, la creazione delle ASL e il drammatico processo di aziendalizzazione e della trasformazione dei medici da professionisti a “pseudo dirigenti”. La conseguente ossessione dei controlli della spesa (compreso il raggiungimento degli obiettivi), ovvero la corretta applicazione di regole economiche al SSN ha comportato (tra contratti e finanziarie diverse) una serie di effetti negativi sulla carriera medica; tra questi, appunto, il precariato del personale sia medico che infermieristico. Secondo la segreteria nazionale della Fp-Cgil sino a pochi anni fa tra i 260 mila precari della P.A. circa 35 mila lavoravano in sanità; nel 2010 erano circa 40 mila (esclusi gli 8 mila Co.co.co.)
All’appello mancherebbero almeno 5 mila precari, che non sono stati assunti a tempo indeterminato, e tanto meno rinnovati i loro contratti: si tratta di circa mille medici e 4 mila infermieri. Attualmente si stima che i medici precari siano almeno 10 mila (probabilmente la cifra è parecchio sottostimata), parte dei quali lavorano nei P.S. e al “118”; la maggior parte è concentrata nel sud: Lazio, Campania, Puglia, Calabria, Sicilia. Il problema è purtroppo sempre più ricorrente e l’opinione pubblica non ne è a conoscenza, e questo “aggrava” maggiormente la situazione ma non a sufficienza da responsabilizzare le Istituzioni preposte (nonostante la crisi) nel porre fine a quella che si può definire una “violazione” del diritto e soprattutto della dignità umana, non garantendo un lavoro sicuro a chi ha fatto una scelta ben precisa e responsabile (vedi articolo “L’esercizio della medicina al “centro dell’universo umano”. Una scelta consapevole appagante ma non priva di rinunce e sacrifici”). La figura del medico, oggi, è forse ritenuta dai più se non obsoleta almeno troppo comune per essere considerata anche quando non si è nella veste di cittadino-paziente; una sorta di opportunismo collettivo (o quasi) che richiede una approfondita “revisione” del ruolo sociale e istituzionale del medico che, per antonomasia, è preposto alla tutela della nostra salute.
Ma come intervenire? Anzitutto, a mio modesto parere, è bene richiamare alcuni articoli della Costituzione che, seppur intesi come principi ispiratori, devono essere interpretati quale possibile applicazione nelle opportune forme contrattuali e, se il caso, anche giurisprudenziali; inoltre, la precarietà contrattuale delle migliaia di medici italiani può costituire una sorta di insicurezza nella tutela dei pazienti che vi si rivolgono, e questo non fa che incrementare il rischio di denunce da parte dei cittadini e/o associazioni che li rappresentano nei confronti dei medici (costretti ad attuare la cosiddetta “medicina difensivistica”), una sorta di conseguenza paradossale che di questo passo non vedrà mai la fine… Credo che far conoscere meglio e di più questa realtà alla pubblica opinione sia urgente oltre che utile, e se il caso, estendere la conoscenza alla Corte di Strasburgo. Tale iniziativa ritengo possa essere fattibile attraverso convegni e conferenze pubbliche coinvolgendo ogni possibile fruitore. In caso di mancato riscontro ogni medico “precario” potrebbe avvalersi del diritto di demandare determinate responsabilità a chi di dovere (ipotetiche diffide…) con le immaginabili conseguenze per il diffidato. Anche se non tutti possono essere dei “dottor Schweitzer”, tutti possono essere dei bravi medici se messi in condizione di esercitare la Medicina e la Chirurgia con il “conforto” della sicurezza materiale (continuità del posto di lavoro) e del rispetto della propria dignità.