“Il Seme dell’Altissimo”, scultura di Emilio Isgrò per l’Expo
EMILIO ISGRO’, “IL SEME DELL’ALTISSIMO”
MILANO, EXPO2015
HENRAUX SPA, Marble Official Sponsor
Inaugurazione, 1° maggio 2015, ore 12:00
Il tema dell’Expo di Milano 2015, “Nutrire il pianeta, Energia per la Vita”, e la scultura monumentale di Emilio Isgrò, il “Il Seme dell’Altissimo”, si stringono in un significativo e simbolico abbraccio interculturale. L’arte, con le sue valenze emblematiche, estetiche e concettuali, non poteva trovare simbolo più pregnante del “Il Seme dell’Altissimo” di Emilio Isgrò per declinare e interpretare in chiave estetica il filo che conduce sull’idea e sulla necessità dell’equilibrio fra le disponibilità e le risorse dell’universo atte a nutrire e preservare il pianeta stesso.
E’ un seme maestoso quello di Isgrò, sviluppato per un miliardo e cinquecento milioni di volte rispetto alla sua misura in origine, una scultura di sette metri d’altezza realizzata in marmo bianco Altissimo, prezioso lapideo frutto delle Apuane. E’ il simbolo con cui Henraux, sponsor ufficiale di Expo2015, intende dialogare con il mondo intero tramite la bellezza, l’arte e la sua poesia. L’opera, realizzata con l’ausilio delle maestranze dell’azienda e l’utilizzo dei sistemi di produzione più avanzati, sarà installata su un ventaglio di gradoni in marmo bianco, sede dell’opera stessa e luogo privilegiato per respirare la sorprendente creazione del maestro Isgrò.
Il “Il Seme dell’Altissimo” sarà installato nell’accesso principale, Gate Ovest, dell’Expo Center e, in questa posizione privilegiata, accoglierà i milioni di visitatori che giungeranno a Milano da tutte le parti del mondo.
La scultura, successivamente alla sua esposizione universale all’Expo2015, verrà donata dall’artista e da Henraux Spa alla città di Milano, dove sarà collocata permanentemente.
Il seme è principio primo e origine dello sviluppo potenziale. E’ simbolo di fecondazione, è sorgente di vita in natura e nell’uomo. Appartiene all’universo e di esso è parte integrante e imprescindibile, in ogni sua espressione, simbolica e materiale.
Emilio Isgrò è nato in Sicilia, a Barcellona Pozzo di Gotto. Nel 1998 crea il protoseme, una scultura in fiberglass. Oggi, il simbolo creato dal maestro Isgrò, strettamente connesso con il suo luogo di nascita, si impianta nell’Expo. Dalla Sicilia, dunque dal Mediterraneo, prende vita l’anima di un poema declinato in scultura la cui immagine non può che definirsi pregnante. Pregnante di significati, e leggibile in forme svariate per ogni diversa angolazione: ora ossatura, ora origine, ora grembo gravido di vita. Questo è quanto accade al seme nel suo colossale sviluppo, un’immagine che proietta la forma in direzioni diverse ma univoche. Una forma che ha trovato la sua sede nel blocco di marmo bianco da cui viene svelato, così anche la montagna è seme.
Non si può prescindere, parlando del seme di Isgrò, dal ricordare che questo è il cuore dell’arancia, né si può prescindere dal ricordare come nella mitologia greca la dote di Giunone consisteva in “alberi dai meravigliosi globi d’oro” – le arance, simbolo di fecondità e di amore -, gelosamente custoditi dalle Esperidi e undicesima fatica di Ercole, che rubò a Giove i pomi d’oro nel giardino delle ninfe.
Dal mito alla realtà, oggi, l’arancio dolce è l’agrume più coltivato nel mondo per la sua capacità di adattarsi a condizioni ambientali diverse. E se la storia e l’origine sono molto dibattute, si evoca, comunque, la Cina, mentre viene data per certa l’introduzione dell’agrume da parte degli arabi in Asia Minore, in Egitto, nel nord Africa e in Europa. In Sicilia, secondo la maggior parte degli studiosi la coltivazione assume rilevante importanza nel XVIII secolo, ed è il seguito degli scambi commerciali con i portoghesi.
In tutte le lingue e i dialetti del mondo sono infinite le sfumature che questo agrume assume linguisticamente nelle tre matrici principali: portocáli, nāranğ, appelsien (mela cinese).
In un luogo come l’Expo di Milano, dunque, il nome della scultura in marmo bianco Altissimo di Emilio Isgrò verrà pronunciato in tutte le lingue dei visitatori. Questo simbolo, il seme, appartiene al mondo. Questo frutto, l’arancia, è nutrimento per buona parte del pianeta.
L’arte, qui, riassume e veste di poesia e di cultura il cibo, questo è il contributo del “Seme dell’Altissimo”.
UN SEME PER L’ITALIA, di Emilio Isgrò
Parlare di un Seme d’arancia, sia pure ingrandito un miliardo e cinquecento milioni di volte, non è facile né per chi lo crea né per il pubblico chiamato a decifrarne il significato. Non si può non pensare, infatti, almeno al primo impatto, a una di quelle manipolazioni genetiche che hanno complicato il soggiorno dell’uomo sulla terra.
Solo che la manipolazione, in questo caso, non è della scienza ma dell’arte: la quale, diversamente dalla scienza, ha il dovere, più che il diritto, di vivere d’immaginazione e di arbitrio. Senza nessun rischio per la salute.
Anzi è proprio l’arbitrio, la suprema libertà dell’arte, a rendere lecito l’illecito e possibile l’impossibile. E là dove un artista, proprio all’Expo, nel cuore di un’Italia che cambia, osa impiantare un Seme alto sette metri, è assai probabile che prima o poi, là vicino o in un luogo non troppo distante, qualcuno si decida a impiantare una fabbrica di nuovo tipo, un’azienda capace di produrre qualcosa di cui il mondo ha urgente bisogno ma alla quale nessuno aveva pensato.
A questo serve l’arte: a dare più coraggio ai coraggiosi, non a guardarsi allo specchio.
La storia di questo Seme viene da lontano. Da quella Sicilia e da quel Mediterraneo che si nutre d’arance e, purtroppo, anche di conflitti e di guerre. Perché fu proprio nella mia città di nascita, Barcellona di Sicilia, che io costruii nel 1998 quello che ormai diventa il Protoseme nella mia storia d’artista: una gigantesca scultura in fiberglass, un materiale relativamente povero, inserita in un sontuoso contesto costruito in lava e altre scorie vulcaniche. Un Seme che spaccava la terra per farsi vedere.
Era stato il sindaco di Barcellona a chiedermi un impegno di rinascita per i nostri concittadini. Un impegno rafforzato da un pubblico manifesto firmato da trecento siciliani, tra cui l’attuale presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Mentre io, da parte mia, avevo pensato a un Seme d’arancia proprio perché quel territorio un tempo produceva agrumi e li esportava in tutto il mondo come essenze per i profumieri di Londra e Parigi o come bucce candite per i pasticcieri di Zurigo e Bruxelles.
Poi, con l’assistenzialismo degli anni Cinquanta, quando i vecchi agrumai mandarono i loro figli a laurearsi in legge per fare gli impiegati in Comune, quel filone di capitalismo ruspante finì per inaridirsi.
Questo per dire che soprattutto nell’era globale nessuna forma d’arte può dare i suoi frutti se non è in qualche modo legittimata dagli interessi concreti della società che di essa ha bisogno come del cibo e dell’aria.
Proprio per questo nel 2013 ho chiamato Modello Italia la mia retrospettiva alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma; e proprio per questo mi sono accinto con gioia a creare Il Seme dell’Altissimo per l’Expo e per Milano, l’antica capitale del Nord dove sono arrivato ragazzo: una città forse carica di vizi, nessuno lo nega, e tuttavia rigurgitante di speranza e di futuro nelle situazioni più difficili.
So bene che il titolo della scultura può apparire un po’ ascetico e francescano (ma non ci sarebbe niente di male se anche lo fosse), mentre nasce semplicemente dal fatto che, grazie all’Henraux, ho potuto utilizzare il prezioso marmo Bianco di quel Monte Altissimo di Serravezza, in terra di Lucca, che Michelangelo ebbe la ventura di scoprire ma non la fortuna di usare per la fiorentina Chiesa di San Lorenzo, essendo stato sviàto a Roma da una improvvisa chiamata del Papa.
La verità è che questo Seme di pietra nasce da una vocazione laica senza la quale l’arte stessa non potrebbe esistere; anche se poi, a conti fatti, è giusto dire che quella vocazione ha un qualcosa di sacro e sacrale che l’arte degli ultimi decenni sembra avere perduto, condizionata com’è da riti finanziari e mondani non sempre compatibili con le verità dell’arte e della cultura.
Verità al plurale, non al singolare. Giacché anche per questa installazione le verità sono molte e molteplici, come sempre quando si tratta d’arte e di creazione artistica in genere. È chiaro, d’altro canto, che qualche verità emerge con più forza delle altre. Come questa, ad esempio: che il Seme dell’Expo rispecchia almeno tre fronti tipicamente italiani. Primo, la Sicilia e il Mediterraneo da dove è partito il primitivo segnale (il seme della nostra lingua comune). Secondo, la Toscana che quel seme ha raccolto e coltivato (Dante, Petrarca, il Rinascimento). Terzo, Milano che con Alessandro Manzoni ha sciacquato i suoi “panni in Arno” per meglio servire il Paese.
Il Seme d’arancia resta in ogni caso il simbolo più globale che ci sia. Perché anche i cinesi mangiano arance e sputano semi. Anche gli americani mangiano arance e sputano semi. Anche gli indiani. Anche i giapponesi…
Qualcuno mi ha chiesto perché mi sono accontentato di ingrandire un minuscolo seme di quattro o cinque millimetri, quasi invisibile, trascurando simboli italici già pronti per l’uso come il Colosseo o la Torre di Pisa. Se non che il segreto italiano è tutto qui: far diventare grandi le piccole cose, non rimpicciolire le cose grandi.
Anche l’arte è una piccola cosa se abbandonata a se stessa. Ma se saremo capaci di farla diventare più grande per la società, oltre che per il mercato, forse costruiremo un Paese più forte e competitivo anche sui mercati globali.
EMILIO ISGRÒ, Biografia
Artista concettuale e pittore – ma anche poeta, scrittore, drammaturgo e regista – Emilio Isgrò (Barcellona di Sicilia, 1937) è sicuramente uno dei nomi dell’arte italiana più conosciuti e prestigiosi a livello internazionale. Isgrò ha dato vita a un’opera tra le più rivoluzionarie e originali nell’ambito delle cosiddette seconde Avanguardie degli anni Sessanta, che gli ha valso diverse partecipazioni alla Biennale di Venezia (1972, 1978, 1986, 1993) e il primo premio alla Biennale di San Paolo (1977), oltre che ad altre importanti rassegne come le mostre The Artist and the Book in Twentieth-Century Italy al MoMA di New York nel 1992, I libri d’artista italiani del Novecento alla Fondazione Peggy Guggenheim di Venezia nel 1994 e le antologiche al Museo Pecci di Prato nel 2008 e alla Galleria Nazionale di Arte Moderna nel 2013. Come scultore, nel 1998, ha ideato e realizzato un Seme d’arancia per la sua città natale, collocato davanti l’ex stazione, punto di partenza dei corrieri di arance verso il Nord Italia e l’Europa negli anni delle esportazioni.
Recentemente l’artista, ancora per il Pecci di Prato, è stato ideatore e protagonista di un progetto in tre tempi dal titolo Maledetti toscani, benedetti italiani che lo ha visto interpretare Curzio Malaparte sul palcoscenico del Teatro Metastasio di Prato, cancellare undici illustri toscani per una mostra al Museo di Palazzo Pretorio e realizzare un video d’artista dal titolo Le api di Lipari.
Iniziatore delle “cancellature” di testi, applicate su enciclopedie, manoscritti, libri, mappe e anche su pellicole cinematografiche, Isgrò ha fatto di questa pratica il perno di tutta la sua ricerca, in una sorta di rilettura a rovescio e di reinterpretazione del linguaggio che da verbale si tramuta, attraverso calibrate manipolazioni, in linguaggio visuale. “La cancellatura” dice l’artista “non è una banale negazione ma piuttosto l’affermazione di nuovi significati: è la trasformazione di un segno negativo in gesto positivo“.
Artista dell’Anno di Radio3 per il 2014, Emilio Isgrò dal 1956 a oggi vive e lavora a Milano, salvo una parentesi a Venezia (1960-1967) come responsabile delle pagine culturali del Gazzettino. Nel maggio del 2014 Firenze ha accolto alla Galleria degli Uffizi il suo autoritratto del 1971 Dichiaro di non essere Emilio Isgrò e Milano la sua Grande cancellatura per Giovanni Testori, un’opera ambientale nella piazza Gino Valle del nuovo quartiere Portello.
Non poteva che essere cosi ! che Emilio Isgro’ fosse un grande sperimentatore di quella”. soglia” che delimita uno spazio a più’ dimensioni ! Dopo Velazquez e oltre il postmoderno questo è quanto spetta all’artista indagare. Ed Emilio Isgro’ indaga e ricerca con autentico amore .La sua qualità’ più’ straordinaria sta proprio in questo essere poeta e pittore nello stesso senso, mi torna alla mente UTPICTURAPOESIS di umanistica coniazione e Isgro’ e’ un vero poeta e vero pittore postmoderno! Anna Letizia Candelise