In difesa dell’ambiente: tra incongruenza e superficialitá
In autunno il problema delle foglie da rimuovere é sempre più disatteso anche nella “rinomata” capitale subalpina
di Ernesto Bodini
(giornalista scientifico)
Sono anni, ormai, che le stagioni non rispettano più il loro corso ciclico e quindi di calendario: 21 marzo annuncio della primavera, 21 giugno dell’estate, 21 settembre dell’autunno e 21 dicembre dell’inverno. Queste, almeno, sono le “scadenze” che abbiamo imparato quando si frequentava la scuola elementare. Ora non è più così tant’é che siamo sempre più legati alle comunicazioni dei meteorologi che, un giorno sì e uno no, ci preavvisano (più o meno con certezza) sul tempo che farà l’indomani e i giorni a seguire (potenzialità dei satelliti sparsi nel cosmo e dei super computer!). E volendo prendere in esame gli effetti “deleteri” a causa di queste “irregolarità” stagionali, ma soprattutto dell’incuria dell’essere umano, allo stesso tocca dover fare i conti con l’ambiente sempre più insudiciato, e in particolare, ad esempio, in autunno quando strade, viali, controviali e marciapiedi sono coperti dalle foglie sempre più intrise di polvere, corpuscoli invisibili di varia origine, escreati umani, escrementi di animali, smog, etc. In molte città del nostro Paese come Torino, ad esempio, verso la metà dell’autunno alcuni operatori ecologici quando non piove spostano e accumulano le foglie secche usando quegli appositi soffiatori che sollevano nell’aria anche residui di materiale asbestoso, strati di catrame, piombo, silice e quant’altro è depositato sull’asfalto con il risultato che il tutto viene inalato dall’ignaro (?) cittadino.
E quando piove le foglie bagnate od umide si appiccicano al terreno costituendo uno strato scivoloso, e questo perché la Municipalità non provvede alla loro rimozione. Le conseguenze in quest’ultimo caso sono facilmente immaginabili: cadute accidentali soprattutto di pedoni anziani e di persone con particolari difficoltà di deambulazione, procurandosi serie fratture agli arti. Al danno fisico si incrementano così i ricoveri ospedalieri e talvolta lunghi periodi di riabilitazione degli infortunati. È evidente che la responsabilità civile é a monte, ossia quella etico-morale che implica il rispetto del mantenimento di un ambiente più vivibile e quindi meno dannoso per la collettività. Inoltre, vi è uno scarso senso civico da parte della popolazione stessa che, pur constatando tale realtà, è troppo “distratta” da altro nonostante sia consapevole (o meno) di inalare sostanze nocive e di fratturarsi una gamba o un braccio scivolando su foglie umide che, a tutt’oggi, il Comune non ha pensato di far rimuovere. Una non curanza che non è in parallelo con l’intelligente opera della raccolta rifiuti differenziata… Una incongruenza? Forse! Anzi di più, perché intervenire solo parzialmente per tutelare la salute umana equivale ad una sorta di ipocrisia… politico-ambientale, giacché alcuni disoccupati (e sono molti) potrebbero essere adibiti a rimuovere le foglie dal terreno.