In Italia la digitalizzazione non decolla
L’Italia è poco attraente per investire digitale a causa dei ritardi nell’istruzione e nell’innovazione, ma anche per una mancata attenzione a sfruttare le opportunità dell’Ict. Sono i motivi per cui il nostro Paese è al 48° posto della classifica del “The Global Information Technology Report 2012: Living in a Hyperconnected World” elaborata da Booz & Co e dalla Business School Insead, per il World Economic Forum-WEF.
Al vertice della classifica per misurare la propensione dei Paesi nell’utilizzo delle opportunità offerte dalle tecnologie informatiche, c’è la Svezia (5,94) che precede Singapore (5,86) e Finlandia (5,81).
A livello europeo l’Italia si colloca solo ventiseiesima, dietro a Croazia e Montenegro entrambi al 4,22.
Nel Report si legge che l’Italia presenta un profilo simile a quello di Portogallo (33° posto con 4,63) e Spagna (38° posto con 4,54). Oltre alla prestazione inferiore sui sistemi dell’istruzione e dell’innovazione, la prima caratteristica particolare del caso italiano riguarda il funzionamento debole dell’ambiente politico e regolamentare (85° nella graduatoria), che ostacola il funzionamento complessivo dell’economia. La seconda caratteristica particolare è quella di un Governo chiaramente in ritardo nello sforzo di spingere le tecnologie informatiche e delle telecomunicazioni per aumentare la competitività (113° posto).
Nella prefazione del report si legge che: “Il successo nel mondo della digitalizzazione – dove i concorrenti da Shenzhen a Schengen possono apparentemente emergere da un giorno all’altro – richiede sia ai politici che ai leader d’impresa di tornare alla lavagna per identificare e costruire le capacità ‘giuste per vincere’ nelle rispettive sfere d’influenza. Le ricerche più recenti mostrano che la digitalizzazione moltiplica l’impatto della connettività, creando un sostanziale incremento di valore in termini non solo di creazione di lavoro e di crescita economica, ma anche sul benessere della società e sulla trasparenza del governo”.
Nel rapporto viene sottolineato come i governi e la politica in generale non debbano più raccogliere la sfida dell’innovazione, assicurando solamente l’accesso a Internet e alle tecnologie digitali, ma devono fare in modo che questi strumenti vengano effettivamente utilizzati in un’ottica organizzata. Negli ultimi anni, infatti, la proliferazione delle nuove tecnologie è stata sostanziale: il numero di personal computer utilizzati nel mondo è passato da 100 milioni nel 1990 a 1,4 miliardi nel 2010; i telefoni portatili che, nello stesso periodo, sono saliti da 10 milioni a oltre 5 miliardi di unità e gli utenti Internet che sono passati da 3 milioni a 2 miliardi. Per dare una prospettiva più concreta, solo vent’anni fa c’erano tanti utenti Internet quanto gli abitanti di Madrid, mentre oggi gli utenti online equivalgono all’intera popolazione asiatica.
“I politici – si legge ancora nello studio- hanno un ruolo importante nell’assicurarsi che i rispettivi Paesi stiano procedendo verso gli stadi avanzati della digitalizzazione e devono riconoscere dove attualmente si collocano, riconoscendo i benefici di tale processo. In questo senso devono spostare la loro attenzione dall’accesso alle reti per mettere in moto programmi e progetti che puntino all’adozione e utilizzo diffusi della tecnologia. E ciò include la digitalizzazione dell’agenda nazionale, inclusa la sistematica pianificazione e monitoraggio dei loro sforzi, l’evoluzione della struttura del governo e l’adozione di una prospettiva a ecosistema; attivazione della concorrenza e stimolo della domanda”.
Comunicatori e Comunicazione